Luca Ricolfi
Luca Ricolfi

Il picco di suicidi/I nostri ragazzi incapaci di affrontare gli ostacoli

di Luca Ricolfi
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Giovedì 15 Giugno 2023, 23:58 - Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 23:26

“Contro il merito che uccide, non si può morire di università”. “Quando la competitività uccide i giovani”. “Il vostro merito ci uccide”.


Titoli come questi, spesso riferiti ad episodi di cronaca che raccontano di studentesse o studenti suicidi, si sono moltiplicati negli ultimi mesi sulla stampa e sui siti internet. E la tesi che li accompagna, quasi sempre, è che alla radice di tali gesti estremi vi sia un eccesso di competitività delle istituzioni scolastiche e delle famiglie. Di qui la richiesta di ammorbidire i meccanismi della valutazione, fino alla soppressione dei voti.
L’enigma del suicidio, come si sa, è uno dei problemi centrali dell’indagine sociologica, fin dai tempi di Émile Durkheim, cui si deve la prima indagine sistematica sul suicidio e le sue cause (Le suicide, 1897). Il suicidio è anche, probabilmente, il comportamento su cui, per ragioni statistico-metodologiche, risulta più difficile stabilire nessi causali solidi. Proprio per questo, come sociologo, provo un notevole imbarazzo di fronte alla proliferazione di esternazioni da parte di giornalisti-sindacalisti-politici-insegnanti-pedagogisti-psicologi-psichiatri che, con grande sicurezza, affermano l’esistenza di un nesso fra suicidi e pressioni competitive scolastico-universitarie.
Sfortunatamente, i dati ufficiali sul numero di suicidi sono estremamente poveri e (incredibilmente) fermi a 6 anni fa. Che vi sia stato un consistente aumento negli ultimi anni resta una congettura, supportata da diversi indizi ma da nessuna prova. 
Quello che appare più verosimile, in quanto basato su dati parziali ma inoppugnabili, è un certo aumento delle richieste di aiuto, degli atti autolesionistici e delle situazioni di disagio, non solo fra gli studenti ma più in generale nel mondo giovanile. 
Quanto ai fattori che possono alimentare sofferenza psicologica e comportamenti devianti – dal suicidio al bullismo, alla violenza sulle donne – è ingenuo cercare una spiegazione unica. Qui vorrei solo far notare un’assenza, ovvero un fattore che non viene quasi mai menzionato, e che pure, da almeno 20 anni, è all’attenzione di una imponente letteratura sociologica e psicologica, soprattutto americana: l’incapacità di bambini, adolescenti e giovani di affrontare gli ostacoli e gestire gli insuccessi. 


Negli ultimi decenni il mondo degli adulti ha completamente rinunciato a porre limiti ai desideri dei ragazzi, ma per questa via li ha anche resi incapaci di reggere le frustrazioni, di affrontare gli insuccessi, di cavarsela da soli nelle piccole e grandi difficoltà della vita. Sembra incredibile doverlo ricordare, ma sono i limiti e gli ostacoli che rendono autonomi e resistenti: rinunciare a dare regole (e farle rispettare!) significa formare giovani fragili e insicuri. 
Questo è quello che, con notevole spietatezza, documentano centinaia di studi e analisi, che si sono anche sbizzarrite nel coniare nuove espressioni per descrivere il fenomeno della calante resilienza delle ultime generazioni, alimentata dalla crescente protettività/invadenza dei genitori.

Ad esempio, snowflake generation o strawberry generation (generazione fiocco di neve, o generazione fragola) per i figli. E over-parenting o helicopter parenting (genitorialità eccessiva, o “elicottero”) per i genitori.


Ed eccoci al punto cruciale. Può essere che, nel mondo giovanile, vi sia una crescente difficoltà di reggere la competizione. Ma quale competizione?
Basta un minimo di familiarità con l’universo giovanile per rendersi conto che la vera competizione, e la vera fonte della maggior parte delle frustrazioni e insicurezze, riguarda la propria posizione nel mondo dei pari: compagni e compagne di scuola, follower e amici su internet, partner sessuali più o meno accessibili e disponibili. Pensare che un 4 di latino possa incidere sull’equilibrio emotivo di un ragazzo più di una disavventura sentimentale, o di una brutta figura nel gruppo dei pari, o dell’emarginazione in una classe, significa non aver compreso quanto poco spazio, nel mondo mentale dei giovani, abbiano ormai le richieste delle istituzioni educative e della famiglia. E, soprattutto, non aver compreso la distinzione fra l’ostacolo e l’atleta: se gli ostacoli che scuola e università frappongono sul cammino dei giovani sono sempre più bassi, è agli allenatori, e ai metodi con cui formano gli atleti, che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione.


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