Squinzi: «Renzi tagli il costo del lavoro: sia la priorità nella manovra»

Squinzi: «Renzi tagli il costo del lavoro: sia la priorità nella manovra»
di Umberto Mancini
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Martedì 11 Agosto 2015, 08:26 - Ultimo aggiornamento: 18:27
Presidente Giorgio Squinzi, nella manovra che il governo sta mettendo a punto in questi giorni il taglio del costo del lavoro sembra essere una delle priorità, accogliendo, salvo ripensamenti dell’ultima ora, una richiesta storica delle parti sociali. Lei crede che Matteo Renzi manterrà la promessa e che a settembre verrà varata una legge di Stabilità espansiva?



«Tutte le misure che vanno nella direzione di una riduzione del costo del lavoro sono ovviamente ben accette. E mi auguro che il premier Renzi vada avanti su questa strada per renedere più competitivo il nostro sistema produttivo e dare così una spinta decisiva alla ripresa economica».



Per tagliare il costo del lavoro, da una lato con gli sgravi per le aziende che assumono al Sud e, dall’altro, riducendo di tre punti i contributi sociali per tutti i lavoratori dipendenti, servono, a giudizio dei tecnici del ministero dell’Econimia, circa 8 miliardi di euro. Secondo lei il governo dove può reperire queste risorse?



«Il taglio del costo del lavoro deve essere una priorità assoluta. Se questa è la premessa, il cardine della manovra in cantiere, credo sia importante mettere a punto una seria spending review per recuperare le risorse necessarie a finanziare questi interventi. Tra l’altro, l’esecutivo vuole anche ridurre le tasse sulla casa, tagliando la Tasi sull’abitazione principale e deve far fronte alla cancellazione delle clausole di salvaguardia che da sola vale circa 16 miliardi. Insomma, l’entità degli intereventi è notevole e bisogna fare scelte precise».


Proprio per trovare nuove risorse e mettere a punto una manovra che punta alla crescita, l’esecutivo vuole andare a Bruxelles per contrattatare margini di flessibilità più ampi sul deficit. Un’operazione non facile ma comunque possibile. Arrivare al 2,8 per cento del rapporto deficit-pil, libererebbe risorse per circa 16 miliardi.



«Ritengo sia più opportuno operare sul fronte dei tagli alla spesa pubblica improduttiva, con misure serie e strutturali, che abbiano un’efficacia nel tempo. Viceversa credo ci siano forti limitazioni ad operare sul fronte del deficit. Gli spazi di manovra in Europa mi sembrano davvero marginali, anzi ”marginalissimi“. In altre parole credo che non si possa allargare troppo la forbice».



Entriamo nei dettagli: la decontribuzione a favore dei datori di lavoro che assumono costa circa 2 miliardi e, con ogni probabilità, verrà adottatata sopratutto per le imprese del Mezzoggiorno. Cosa ne pensa? Non c’è il rischio la Ue boccia l’intervento?



«Per il Sud bisogna calibrare le risorse. Con un mix di interventi che vanno dalla decontribuzione al pieno utilizzo dei fondi europei. Soldi che ci sono e che vanno spesi bene. Guardi il Mezzoogiorno ha bisogno di una particolare attenzione e bene ha fatto Renzi a focalizzare l’attenzione su questo tema centrale».



Ma il piano del premier arriverà solo a settembre?



«L’importante è che arrivi e che sia efficace. In questi anni, come dimostrano purtroppo gli ultimi dati resi noti dalla Svimez, il Sud è arretrato ancora , perdendo molto terreno. E noi, come Confindustria, non vogliamo arrenderci. Per questo organizzeremo a settembre proprio a Taranto, dove c’è l’Ilva, il prossimo consiglio generale in cui illustreremo le nostre proposte per il rilancio del Sud e per ridurre il gap con il resto del Paese. Per quanto riguarda l’ Ilva, va sottolineato, che va assolutamente fatta ripartire, per tutelare l’occupazione e un’azienda strategica».



L’Ilva è un po’ l’emblema della crisi del Sud?



«C’è poco tempo per trovare una soluzione e salvare l’azienda. Anche se il governo ha assicurato più volte il massimo impegno».



Tra le misure che potrebbero essere inserite nella legge di Stabilità c’è il taglio di tre-quattro punti dei contributi sociali per tutti i lavoratori dipendenti. Una misura che costerebbe circa 6 miliardi. Oggi il prelievo vale circa il 33% rispetto alla retribuzione lorda annuale, un terzo a carico del lavoratore e due terzi a carico del datore di lavoro. Una misura che piace ovviamente ai sindacati e che, insieme alla decontribuzione per il Sud, potrebbe andare di pari passo con la riforma del modello contrattuale?



«Certo. Serve un cambio di passo. Da tempo chiediamo la riduzione del costo del lavoro e da tempo insistiamo per avere un nuovo modello contrattuale modermo. Su quest’ultimo tema credo che adesso i sindacati debbano trovare una posizione unitaria per avviare un dibtattito costruttivo. Bisogna rivedere il modello contrattuale per assicurare la certezza dei costi, la non sovrapponibilità dei livelli di contrattazione e per legare strettamente retribuzioni e produttività. In modo tale da mettere a disposizione delle nostre imprese strumenti che possono favorire la competitività, nell’interesse generale del Paese».



Ultima domanda: è preoccupato per i riflessi della crisi della Grecia sul nostro Paese?



«No, la Grecia è un Paese relativamente piccolo. Mi preoccupa di più l’Italia che non riparte».
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