Femminicidi, a Firenze dove gli uomini maltrattanti si curano

Il vicepresidente del Centro uomini maltrattanti a Firenze spiega: «Li accomuna una mascolinità che affronta conflitti e ostacoli solo con l’attacco»

Filippo Turetta e Giulia Cecchettin
di Carla Massi
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Mercoledì 22 Novembre 2023, 12:44 - Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 06:48

Non odiano le donne. Non sono malati né cattivi.

E neppure degli incapaci a gestire la rabbia. Sono “bravi ragazzi”, uomini adulti che hanno scelto la violenza per rispondere alle difficoltà di una relazione. Per superare gli ostacoli che l’altro pone con il suo essere. Con il suo non voler più continuare la storia. Uomini che considerano il controllo e il possesso come manifestazioni “normali” della loro mascolinità. Della loro cultura, del loro modo di intendere un rapporto d’amore. 
Ecco il ritratto in controluce che arriva dal Centro uomini autori di violenza, gestito dalla Asl, a Firenze, il primo nato in Italia nel 2009. Da nove maschi seguiti nell’anno di nascita siamo arrivati a 240 da gennaio ad oggi. Un lungo elenco di storie intime, di famiglie spezzate, di figli costretti ad assistere a scene drammatiche, a coppie frantumate tra urla, scontri, denunce.
Il ritratto di chi, in quel Centro, dovrebbe imparare a ricostruire sé, capire che cosa ha fatto e perché lo ha fatto. Si svelano i contorni di persone che spesso non vogliono fare i conti con quello che è successo. Perché botte, stalking e maltrattamenti li ritengono assolutamente in linea con il rapporto che hanno nella testa. Perché, per loro, quello è l’unico modo per mantenere integra l’immagine di sé con il mondo. 
«Il “bravo ragazzo”, diciamo, è tale fino al momento in cui un ostacolo modifica la relazione mandando all’aria il progetto che si è costruito. A quel punto, la scelta è di essere violento perché non ne ha altre. Non ne sa trovare altre, la sua mascolinità lo porta verso quegli atteggiamenti. Che, in qualche modo trova congruo rispetto al suo modo di intendere il rapporto - spiega Rossano Bisciglia psicologo psicoterapeuta vicepresidente del Centro fiorentino - Essere lasciato da una compagna, a loro avviso, li oscura, danneggia l’idea distorta che hanno, appunto, di mascolinità. Una mascolinità che normalizza i conflitti quasi unicamente con comportamenti violenti. Quasi sempre solo in una storia sentimentale. Che penseranno gli altri se lei mi ha lasciato? È di fondo la domanda ricorrente e la giustificazione, chiamiamola così, di questi comportamenti. L’unico strumento che immediatamente sanno utilizzare per affrontare le difficoltà è l’attacco violento».
L’obbligo, se si inizia il percorso al Centro, è quello di riuscire a mettersi in discussione per uscire da quella coazione distruttiva che spazza via tutto e tutti. È quello di riconoscere davvero la dinamica di ciò che si è fatto più e più volte. Schiaffi, appostamenti, controllo continuo nei confronti della donna, abuso, ricatti economici, manipolazioni. Una finta normalizzazione, quindi, perché dopo i calci e i pugni o dopo un pedinamento come può davvero normalizzarsi una situazione?
RESPONSABILITÀ
«Qui dovrebbe iniziare un cambiamento - spiega ancora Bisciglia - una presa di responsabilità autentica. Si è violenti per scelta e, per scelta, si può mutare. Devi interrompere i comportamenti violenti e devi imparare ad assumerti, appunto, le responsabilità se vuoi davvero trasformare la tua vita».
Una strada in salita ma che riesce a dare i suoi frutti se da parte di lui c’è davvero responsabilità. Mettendo da parte accuse, giustificazioni, bugie e sensi di colpa. «Il senso di colpa immobilizza - aggiunge lo psicologo - è un ottimo stratagemma per non fare e restare come si è. La fatica è quella di trasformare il senso di colpa in responsabilità. Di far capire fino in fondo quanto quelle reazioni e azioni fossero disfunzionali». 
Il lavoro degli operatori e operatrici è quello di accompagnare l’uomo («Non chiamateli pazienti perché non sono malati») che lì, al Centro, non è giudicato ma solo invitato a mettersi in discussione, a capire che esistono modi diversi per reagire anche ad una eventuale provocazione. Una modalità di vita che escluda il prevaricare. 
«Una cultura sottostante e non sempre evidente - rivela Bisciglia - continua a tirare su maschi che vedono nella violenza l’unico modo per relazionarsi. Non stiamo parlando di persone che non sanno gestire la rabbia come spesso viene detto ma di uomini che decidono di utilizzare quella modalità, acriticamente, per imporre le loro ragioni e provare a vincere a tutti i costi senza mettersi in discussione. Senza neppure provare a fermarsi o farsi domande. Qui imparano questo, a trasformare il comportamento violento in pensiero, relazione, critica di sé. In modo davvero costruttivo».
Nel Centro, l’atteggiamento che li porta (o li costringe) a chiedere aiuto appare assolutamente svincolato dalla condizione sociale.

Ci sono i professori, i liberi professionisti con tanto di master in tasca con gli operai e gli artigiani. Quelli che hanno usato le mani o il coltello su una compagna ormai intollerante ai soprusi e quelli che per tornare con la moglie si appostano tutte le sere sotto casa diventando minaccia perpetua. Comportamenti (che gli uomini definiscono d’amore) solo in modo apparente diversi ma, nella realtà, uguali e violenti.

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