Gloria Peritore: «Per colpa di una relazione tossica mi faceva paura la vita. Sul ring metto ko la violenza di genere»

La campionessa del kickboxing
di Maria Lombardi
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Sabato 2 Marzo 2024, 06:39 - Ultimo aggiornamento: 10:04

«Cri, ti ricordi? È grazie a te che sono riuscita a farcela». «Ma figurati, per così poco». Per Gloria Peritore, tre titoli mondiali nella kickboxing, quel "poco" è stato tantissimo. La svolta della sua vita.
Cosa ha fatto di così importante la sua amica?
«Tanti anni fa, a Firenze, mi ha accompagnata nella palestra di sport da combattimento che avevo deciso di frequentare. Dalla vetrata avevo visto i sacchi e il ring, ne ero attratta. Ma la prima volta che ho provato ad entrare, sono tornata indietro bloccata da una crisi d'ansia. Avevo 18 anni, era un momento molto delicato nella mia vita. Così ho chiesto alla mia amica di accompagnarmi, ho cominciato ad allenarmi e non ho più smesso».
Colpa di una «relazione tossica», come ha raccontato nel monologo di "Listen to me", da poco trasmesso su Rai3. Come è riuscita a uscirne?
«Una relazione che mi ha completamente annullata e mi ha lasciato profonde ferite. Avevo 16 anni e gli occhi spenti, non sapevo se avrei avuto la forza di arrivare a 18. A quell'età stai cercando il tuo posto nel mondo e invece io mi sono trovata a subire una violenza psicologica molto pesante. Mi faceva paura la vita, non trovavo più quel coraggio che era dentro di me e avevo dato per disperso. Era molto difficile uscirne, ho rivisto la luce e la libertà quando i miei mi hanno spinta a lasciare la Sicilia, per andare a vivere e studiare a Firenze. La prima scelta coraggiosa fu salire su quell'aereo».
Gli studi di marketing alla Polimoda di Firenze e la scoperta della kickboxing. In che modo questo sport l'ha aiutata?
«Non sapevo nemmeno cosa fosse la kickboxing. Ma in quel periodo mi sentivo debole e fragile. Avevo paura anche a fare la spesa, soffrivo di attacchi di panico. Sentivo però l'impulso di tornare ad esprimermi. Mi sono chiesta: vediamo se riesco a trovare il coraggio di fare uno sport duro che mi costringa a guardarmi dentro. Ho cominciato ad allenarmi tre volte a settimana. Dopo 6 mesi ho combattuto e ho vinto due match, sul ring ho ritrovato la luce».
E le paure sono passate?
«Gli sport di combattimento mettono a nudo le paure. Quando salgo sul ring le attraverso per raggiungere l'obiettivo, la paura mi costringe a combattere. Il ring insegna a gestire la paura a seconda delle situazioni. La kickboxing innesca un meccanismo di rafforzamento che aiuta a tirare fuori il coraggio. La paura è utile quando spinge all'azione o a scappare nelle situazioni che ci minacciano, ascoltarla è fondamentale quando si parla di violenza. I ragazzi tante volte non sanno come reagire quando vivono una relazione tossica o sono vittime dei bulli. La paura, in quei casi, è un importante campanello d'allarme, ma a volte ci blocca. Adesso porto la mia testimonianza nelle scuole e nelle aziende».
La Medaglia d'Oro ai Mondiali ISKA" dilettanti nel 2014, tre titoli mondiali, tre vittorie all'Oktagon. Prima italiana a vincere il Bellator in America, nella top ten delle kickboxer più forti al mondo nel 2022. Ora si allena a Roma. A quale traguardo sportivo di sta preparando?
«Da un anno sono passata a fare boxe da professionista, spero di conquistare un titolo».
I momenti più importanti sul ring?
«I successi più belli sono arrivati dopo sconfitte dure. La cintura Iska è arrivata dall'unico match perso per ko. Quella sconfitta mi ha fatto crescere moltissimo».
Oltre allo sport c'è anche il suo impegno sociale con il progetto #FighTheviolence, combatti la violenza.
«È un progetto che promuove la non violenza attraverso i valori degli sport da combattimento. Abbiamo in cantiere uno sportello di ascolto online dedicato alle vittime della violenza, per il momento è attivo uno sportello di orientamento. Ogni volta che vado in una scuola e invito le ragazze a parlare, voglio anche indicare un interlocutore. Quando subivo la violenza, ho scritto a chat anonime chiedendo aiuto e non ho mai ricevuto risposte. Ricordo la delusione. Abbiamo anche stipulato accordi con centri antiviolenza, cooperative sociali e l'associazione "donneXstrada"».
E c'è anche l'iniziativa "The Shadow Project", di che cosa si tratta?
«È un'organizzazione che nasce nel 2020 per reinterpretare gli sport da combattimento in modo innovativo e inclusivo.

Insieme a Manuel Raimi, compagno e coach, oltre che una delle menti di "The Shadow Project", abbiamo creato un metodo che definiamo inclusivo che permette a tutti di combattere con un contatto moderato e senza contatti al viso, in tanti si precludono queste esperienze proprio per la paura dei colpi in faccia. C'è lo scambio, il confronto con le persone, uomini e donne che si allenano insieme e si rispettano. Mi piacerebbe fare uscire questi sport dall'ombra ed eliminare ogni pregiudizio perché conosco i benefici che possono portare alle persone. Questa è la missione».

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