Pescara, ex Carichieti
finiscono nel crac De Nicola

Pescara, ex Carichieti finiscono nel crac De Nicola
di Maurizio Cirillo
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Giovedì 5 Maggio 2016, 17:06 - Ultimo aggiornamento: 17:40
PESCARA - Due dei massimi vertici della ex Carichieti, una delle quattro banche di cui si sta occupando il Governo e non solo, del cui fallimento si sta interessando il tribunale di Chieti, finiscono sotto inchiesta e ora rischiano un processo per concorso esterno nella bancarotta di una società cui avrebbero concesso un fido di ben 15 milioni di euro (fatti avvenuti tra il 2007 e il 2008).

L’inchiesta madre da cui nasce questa costola è quella sull’impero del gruppo dell'imprenditore Carmine De Nicola con interessi in scuole private e sanità. L’avviso di conclusione delle indagini, firmato dal pm Anna Rita Mantini e dal procuratore aggiunto Cristina Tedeschini, riguarda l’ex direttore generale della Carichieti, Francesco Di Tizio, il direttore commerciale dello stesso istituto, Luigi De Vitis, e due periti, Carlo Rabottini e Franco De Donatis: il primo stilò la stima dei cespiti offerti in garanzia ipotecaria per conto del gruppo De Nicola (quantificato in 19 milioni di euro), il secondo fece lo stesso lavoro per conto della banca (20 milioni di euro). La novità dell'inchiesta è che nella contestazione relativa alla bancarotta della società Sicof-Opera di De Nicola (poi fallita) vengono inseriti anche i vertici della banca per l'apporto esterno: non avrebbero dovuto concedere quel fido milionario all'imprenditore in quanto non c’erano i termini economici per farlo. Nel procedimento madre che conta 23 indagati e ormai all'attenzione del gup, quel capo di imputazione viene contestato a De Nicola, ad Antonio Ianni, suo uomo di fiducia, e a Guerino Testa, amministratore della Smc che avrebbe partecipato alla bancarotta fraudolenta e che si sarebbe avvantaggiata della distrazione dei beni della fallita Sicof-Opera: nel caso specifico del fido milionario in questione.

ASSUNZIONI E REGALI - Quanto al direttore generale Di Tizio, nel capo di imputazione si legge che «indirizzava ed orientava fraudolentemente l’opera del consiglio di amministrazione dell’istituto, strumentalizzando le sue consolidate interessenze personali ed amicali con de Nicola, che producevano a suo vantaggio l’assunzione del fratello Giancarlo Di Tizio e della cognata Stefania Comignani, alle dipendenze delle società riconducibili al gruppo De Nicola, nonché sistematiche regalie». De Vitis, invece, avrebbe «progettato ed inoltrato» la pratica di fido «fraudolentemente istruita al fine di assicurarne un esito favorevole». «Di questa pratica - dichiara De Vitis, che è venuto a conoscenza dell'avviso solo ieri e che non è mai stato sentito dalla procura - non ho visto mai nulla né ho mai partecipato all’iter istruttorio. Ero il direttore commerciale e con i fidi non avevo nulla a che fare. La pratica venne istruita direttamente dal servizio crediti della direzione generale, dall’ufficio diretto da Sbrolli e dal suo staff e deliberata dal consiglio di amministrazione. In quella vicenda non ho avuto nessuna partecipazione attiva o passiva. Sarò ben lieto di rispondere alle domande dei magistrati per dimostrare la mia completa estraneità».

La procura e gli investigatori della guardia di finanza guidati dal colonnello Mora la pensano però diversamente. Nell'avviso si sottolinea come Di Tizio e De Vitis avrebbero «veicolato una positiva relazione in ordine all’assentibilità della pratica di mutuo bancario, anche omettendo di rappresentare all’organo di decisione della Carichieti (cda) l’assenza del merito creditizio del beneficiario del contratto e l’esiguità dei valori delle garanzie reali offerte». Gli indagati hanno venti giorni per avanzare eventuali ulteriori richieste istruttorie o farsi sottoporre ad interrogatorio, poi la procura deciderà se chiedere il processo o meno.
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