Venti anni all'assassino del marito. La vedova: «Troppo poco, siamo discriminati perchè rom»

Venti anni all'assassino del marito. La vedova: «Troppo poco, siamo discriminati perchè rom»
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Giovedì 29 Novembre 2018, 09:52
«Non ci sono parole». Scuote la testa Maria Santeramo, la madre di Antonio Bevilaqua, subito dopo la lettura della sentenza che condanna a venti anni di carcere l'assassino del figlio. Venti anni. Uno in meno di quelli vissuti da Bevilacqua prima di essere freddato con un colpo di fucile in faccia, dal suo omicida reo confesso. Una esecuzione avvenuta a tarda notte, il 16 settembre del 2017, nel pub Birrami di Monstesilvano (Pescara). Il gup del tribunale di Pescara, Nicola Colantonio, ieri pomeriggio ha accolto le richieste del pm Paolo Pompa, condannando Massimo Fantauzzi al massimo della pena, in relazione all'accusa di omicidio volontario, tenuto conto degli sconti previsti nell'ambito del rito abbreviato. Inoltre ha disposto, a carico dell'imputato, anche l'applicazione di dieci anni di libertà vigilata.

I familiari di Bevilacqua hanno preso atto con amarezza, ma con la massima compostezza, della sentenza. In aula c'erano i genitori, la giovane vedova e la sorella della vittima, sostenuti da una ventina di parenti ed amici che stazionavano nei corridoi nel tribunale. Alla madre, terminate le richieste dell'accusa, è scappata qualche lacrima. Ingente lo schieramento di forze dell'ordine, dopo i disordini verificatisi nel luglio scorso, in occasione della prima udienza, quando i familiari di Bevilacqua incrociarono l'assassino, che questa volta non si è presentato in tribunale. Ai familiari della vittima, costituitisi parte civile tramite l'avvocato Giancarlo De Marco, però non basta e gridano alla discriminazione razziale. Antonio Bevilacqua era di etnia di Rom e per la giovane vedova Gabriella Tiberi, appena ventiduenne e costretta a crescere da sola una bambina di due anni, non è stata fatta giustizia. «In queste aule c'è scritto che la giustizia è uguale per tutti, ma non è vero - accusa la ragazza dopo la lettura della sentenza -. Siamo stati trattati così perchè siamo Rom, ma noi siamo nati in Italia e siamo anche noi italiani».
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