«Giuro su Dio, e questa è una promessa, che se blocchi un'altra volta (l'account, ndr) vengo lì e sveglio tuo padre e ti faccio fare una di quelle serate indimenticabili... questo non è un gioco». Ha rischiato una condanna a 10 anni e 8 mesi F.C. il 30enne aquilano accusato di aver vessato un suo coetaneo (figlio di una conosciuta famiglia) in una chat per incontri Lgbt per spingerlo a un incontro a scopo sessuale, con le minacce. Il Tribunale alla fine, lo ha condannato alla pena di un anno 6 sei mesi di reclusione (escludendo la sospensione di una condanna inflitta dalla Corte d'Appello), aderendo alle tesi della difesa (rappresentata dall'avvocato Marco Ferrone) e dello stesso indagato reo confesso che in aula ha chiesto scusa per il deplorevole gesto compiuto a causa di una patologia pregressa che lo ha portato a rivolgersi a una struttura psichiatrica.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri dell'Aquila, tutto si è svolto su un account privo di foto e di indicazioni in cui l'indagato è uscito subito allo scoperto, arrivando alle minacce esplicite sulla chat, in cui metteva a conoscenza il proprio interlocutore di essere a conoscenza di tutti i dettagli identificativi della parte offesa e suoi familiari.
A spingere il Pm Guido Cocco a chiedere una severa condanna, la circostanza appunto che il giovane aveva già dimostrato l'assoluta indifferenza alle denunce e ai procedimenti penali che si sono aperti a suo carico. L'avvocato difensore ha ribadito come i fatti si siano limitati al solo uso del telefono tramite l'utilizzo di una applicazione di meeting e solo in un caso l'interlocuzione avrebbe assunto i connotati di una minaccia a sfondo sessuale.