"Era nell'aria", la dolce vita anni '60 di Barcellona rivive nel libro di Sergio Vila-Sanjuán

Sergio Vila-Sanjuán
di Renato Minore
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Lunedì 15 Settembre 2014, 18:35 - Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 23:30
Nella Spagna degli anni Sessanta, in una Barcellona che si sta trasformando da una societ poco pi che rurale nella societ dei consumi. In Era nell'aria, secondo romanzo di Sergio Vila-Sanjuán e adesso pubblicato in Italia da Salani quattro destini si intrecciano e si scontrano. Una donna dell’alta società, molto bella e molto infelice. Un industriale affascinante e ambizioso, politicamente ben inserito. Un giovane tragicamente separato dalla sua famiglia durante la Guerra Civile che non ha mai perso la speranza di ritrovare sua madre. Un pubblicitario idealista, che ha messo anima e cuore nel progetto della sua vita: un programma radiofonico che cerca persone scomparse Sono gli anni del ‘miracolo spagnolo’, fanno capolino la pubblicità, il marketing, il giornalismo spregiudicato, la televisione, la “Dolce Vita”.. Ma sono anche anni in cui il regime oppone una ferrea censura a tutto ciò che può ricordare una guerra ancora troppo dolorosamente vicina, e ha metodi definitivi per far tacere le opinioni scomode, come nel caso della ormai popolarissima trasmissione radiofonica. Vila-Sanjuán è il direttore del supplemento culturale del quotidiano barcellonese La Vanguardia. Nato in una famiglia di giornalisti e pubblicisti, Vila-Sanjuán ha respirato la professione fin dall'infanzia. Dai vecchi documenti del nonno (l'avvocato e giornalista Pablo Vila-Sanjuán) ha tratto ispirazione per Una heredera de Barcelona. Il suo primo romanzo, pubblicato nel 2010, intreccia le storie vere di personaggi quasi inventati nella Barcellona dei concitati e violenti anni Venti. Il romanzo con cui ha vinto il Nadal continua la saga familiare e racconta la storia vera di personaggi quasi inventati nella Barcellona dei felici e promettenti anni Sessanta. Questa volta l'ispirazione arriva dai ricordi e racconti del padre (il giornalista e pubblicitario José Vila-Sanjuán), protagonista di Era nell'aria. «I personaggi sono veri al 70 per cento», ammette.



Con i due romanzi lei segue le orme di molti scrittori che ambientano le loro storie nella Barcellona del secolo scorso. Cosa rende seducente da un punto di vista letterario questa città?

In questa città ha vissuto la mia famiglia e Barcellona è per me un paesaggio familiare. In termini più generali Barcellona è una città con una grande tradizione letteraria in due lingue che attraversa tutta la Storia a partire dal Medioevo con una delle opere più importanti della letteratura spagnola Il don Chisciotte nella quale Barcellona è l'unica città reale citata. Barcellona è una città con diversi strati storici perfettamente cristallizzati: dall'epoca medievale al modernismo fino all'avanguardia degli anni '80. Ciò crea un insieme di giochi di ombre, di fantasmi, di echi del passato e di riflessi che sono suggestivi dal punto di vista letterario.



Lei è uno scrittore-giornalista o un giornalista-scrittore? Si incomincia a fare del giornalismo ma in realtà si vuole scrivere altro, oppure si fa del giornalismo come forma di servizio di informazione anche quando si scrive in letteratura?

Quando lavoro come giornalista tengo sempre presente la dimensione letteraria di questo lavoro, sia per l'approccio al tema trattato, sia nella scelta dello stile e viceversa. I miei due romanzi che sono stati pubblicati contengono un importante elemento giornalistico, la ricerca di completezza, l'interesse per l'ambientazione precisa, l'attenzione ai dettagli e anche una certa volontà di sintesi.



A proposito: lei dirige il settore letterario della Vanguardia. Nessun conflitto di interesse con la sua attività di scrittore?

Direi di no. In ogni caso ho iniziato a pubblicare i primi libri che non erano romanzi all'età di 46 anni e il primo romanzo a 53. Il mio lavoro come direttore delle pagine dell'inserto culturale della Vanguardia mi ha fatto riflettere molto prima di decidere di pubblicare i miei libri.



Lei tre anni fa ha scritto un saggio di analisi dei best-seller negli ultimi duecento anni. Che cosa ha imparato di più importante da essa? E qualcosa pensa di aver "applicato" nello scrivere i suoi romanzi?

I bestseller sono fenomeni imprevedibili. Non ha senso cercare di fabbricarne uno a tavolino. Ogni scrittore deve fare in modo di scrivere la storia che vuole raccontare e deve cercare di stabilire un legame speciale con il pubblico.

Detto ciò, esistono tecniche che si ripropongono in quasi tutti i bestseller e che potrebbero essere definite come una sorta di "ricette per un perfetto best-seller":

Dosare in modo corretto la suspense.

Avere la capacità di aprire una finestra su mondi sconosciuti.

Cercare l'originalità.



Il suo romanzo mostra l’inizio della società dei consumi in Spagna, con la pubblicità, il giornalismo, le nuove professioni? Non molto conosciuto e molto simile a quello che stava vivendo l’Italia?

Ho scelto un argomento che parla di un settore del tutto inesplorato dalla narrativa spagnola per fare luce sulla nascita e sullo sviluppo di queste nuove professioni. Ciò è stato un incentivo che mi ha incoraggiato a raccontare una storia famigliare legata a questa tematica. Credo che la situazione della Spagna della prima metà degli anni '60 avesse diversi punti in comune con l'Italia, come ad esempio la SEAT che era partecipata dalla FIAT. Il cinema italiano di quell'epoca ha raggiunto l'apice del successo. Credo che Gassman potrebbe uscire dal fotogramma de Il Sorpasso per entrare nel mio romanzo con totale naturalezza. L'Italia viveva tutto ciò in un'atmosfera di libertà, mentre in Spagna no. In quell'epoca l'Italia era più avanzata sotto tutti i punti di vista.



Lo mostra questo periodo con molto realismo, molto umorismo, ma si direbbe anche con un po’ di nostalgia. Era il periodo dei persuasori occulti, della società affluente, del domani che si scrutava con molto ottimismo, con un senso del futuro. Molto diverso da oggi quando mancano manca l’ottimismo e il senso del futuro?

È cosi! Quell'epoca inizia negli anni '60 e termina con l'arrivo della crisi economica di alcuni anni fa.In questo periodo la società e l'economia europea hanno vissuto una costante crescita. Si è imposto uno stato di benessere, un boom del mondo industriale e di quello mediatico. Sono stati anni di ottimismo che hanno portato al consolidamento della società europea come la conosciamo e che vive ora una trasformazione radicale. Nel romanzo guardo a quel periodo con umorismo perché fa parte del mio passato, ma ne capisco anche l'ingenuità. Lo guardo con una vena di malinconia perché le cose che stavano nascendo le abbiamo appena seppellite.



Era ancora la Spagna di Franco, ma non più la più nera degli anni '40… La nuova situazione dei consumi e dei media si scontrava con la censura e i divieti del caudillo?

La dittatura è divisa in due tappe: la prima è compresa tra il 1939 e il 1959, il periodo del fascismo puro e duro; la seconda ha inizio nel 1960, periodo in cui il regime autoritario era più permissivo e cercava l'attenzione internazionale liberalizzando alcuni aspetti. Ciò coincide con lo sviluppo industriale, l'arrivo in massa dei turisti e la creazione di nuovi mezzi di comunicazione permeati da uno spirito democratico. Così come la nascita della pubblicità moderna che offre alla Spagna uno specchio nuovo e attraente. La tensione tra le forze di rinnovamento e le strutture repressive che si conserva nel regime crea molte disfunzioni ed è un elemento che fa parte del mio romanzo.



Al centro una famosa trasmissione radiofonica che sarà poi ripresa in televisione, in Italia, con Chi l’ha visto. Ma non era la televisione in quegli anni a sconvolgere consumi, abitudini, riti sociali?

Nel mio romanzo la radio si sente in tutto il Paese ed è un media che ha molta forza, mentre la televisione sta muovendo i primi passi. Negli anni '60 la televisione si stava diffondendo fino a raggiungere tutti gli spagnoli. Però era molto controllata dal potere, a tal punto che, si dice, Franco e la moglie avessero chiamato il direttore di TVE per fargli sapere quali programmi apprezzavano e quali no. La televisione dell'epoca ha un effetto sovversivo piuttosto limitato.



Era la prova generale quella società anche per nuova borghesia, con i nuovi media e le nuove tecniche di business, con gli amori illeciti e le truffe finanziarie.

In quegli anni una parte della classe dirigente spagnola, e in particolare quella catalana, trasforma radicalmente i suoi costumi: si passa dal Cattolicesimo molto rigoroso, uno stile di vita severo e molto formale a una dolce vita edonista e libera dal punto di vista dei costumi sessuali, tipico della borghesia francese particolarmente amata in Spagna. Questi sono i temi del mio romanzo.



Di quegli anni qual è a suo giudizio il lascito più importante. E nello stesso tempo l’eredità più pesante?

Il lascito è sicuramente l'allegria, quella capacità di godere la vita, di relativizzare i drammi, fondamentale per lasciarsi indietro una storia così drammatica come quella dei paesi europei nel ventesimo secolo. Era necessario ritrovare l'allegria per potere scommettere sul futuro. L'eredità più pesante era che per stimolare il consumismo spesso i valori più importanti venivano tralasciati e nel campo della comunicazione si passò dall'informazione sui drammi personali all'uso dei drammi personali come spettacolo.
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