Il Pigneto, ristoranti bio e spacciatori: il quartiere dalle due anime

Il Pigneto, ristoranti bio e spacciatori: il quartiere dalle due anime
di Michele Masneri
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Domenica 6 Luglio 2014, 01:26 - Ultimo aggiornamento: 02:12
Quartiere "pasoliniano", naturalmente, con Pasolini testimonial immobiliare e commerciale e genius loci locale (PPP è passato di qui, PPP ha girato Accattone qui, PPP reperiva i suoi pischelli qui); la sua foto campeggia su magliette e spillette al bar Necci, roccaforte hipster locale, dove venti-trenta-quarantenni con baffi e barbe e occhiali tartarugati tondi bevono cappuccini decaffeinati sui tavoloni di legno leggendo sui loro Macbook Pro sceneggiature per poi spostarsi per il brunch o il pranzo da Rosti.



La bocciofila Qui, ristorazione politicamente corretta per famiglie, con campo da bocce, lucine da balera, orto biologico con piante di carciofi scenografiche e turgide e perfino un alveare, pronti a seguire l'ultima moda dell'"apicoltura urbana partecipata", perché le api come si sa stanno scappando dalle campagne e si spostano in città. È il Pigneto, naturalmente; anzi la parte buona del Pigneto; perché invece l'altra parte, l'Isola pedonale (detta solo: l'Isola), non va più bene già da tempo, e gli abitanti della parte giusta già disprezzano molto quella sbagliata, con troppi locali e troppo spaccio, e addirittura Vladimir Luxuria ad affacciarsi "in finestra" a denunciare malaffari, con la stessa veemenza della sua (quasi) dirimpettaia Anna Magnani a via Raimondo Montecuccoli in Roma città aperta, film non pasoliniano ma rosselliniano appena restaurato - e che però ispirò alla regia PPP, che lo vide tre volte (ma al cinema Nuovo di Testaccio, come spiega la definitiva mostra pasoliniana ancora in corso al Palazzo delle Esposizioni).



I creativi La gentrificazione è quel processo per cui "un quartiere malfamato viene ripopolato di creativi alla ricerca di prezzi bassi, poi arrivano i ristoranti giusti e le gallerie d'arte e arrivano i ricchi, che non si capacitano di come si possa vivere bene spendendo così poco, poi il comune porta i servizi, e arriva la classe media, e i prezzi salgono, e i nuovi creativi se ne vanno alla ricerca di nuovi posti da gentrificare". Questa più o meno la definizione classica di quel fenomeno di bonifica che colpisce più o meno con violenza e velocità luoghi ormai classici dell'hipsterismo: Williamsburg a New York, Prenzlauer berg a Berlino, il Decimo arrondissement a Parigi. Quartieri dimenticati diventati in pochi anni patria di ristorantini bio, gallerie di fumetti, negozi di vinili, nei casi più estremi anche barberie con cere speciali per baffi arricciati. Ma la gentrificazione romana naturalmente è un fenomeno a sé: al Pigneto la classe media è arrivata, i prezzi sono saliti, il degrado è rimasto anzi peggiorato, i tossici prosperano accanto a intellettuali con camicie a scacchi, in attesa della sopraelevata convertita a "highline" fiorita, forse anche con importanti sinergie per le apicolture partecipate.



Affari immobiliari I prezzi sono saliti tanto, mentre qualunque creativo con un briciolo di coscienza civile si chiedeva se non fosse ora di prendersi casa per caso al Pigneto - magari nella parte estrema, al di là della Casilina, in un quartiere che con ironia si chiama Villa Certosa, dove alcuni anche dai Parioli sono scesi a comprarsi case ecocompatibili con pannelli solari, e orti urbani. Molti cinici sono rimasti scettici, invece, notando anche gli entusiasmi degli abitanti del centro verso queste lande, simili a esploratori inglesi nei confronti di colonie subtropicali, con ardori da antropologi alla Lévi-Strauss.



Entusiasmo local Chi si è trasferito sul serio è contentissimo e giura che non tornerebbe mai più al centro (con lo stesso meccanismo per cui ognuno si dice poi contentissimo della moglie brutta, o del figlio che va male a scuola, o di certi quadri fatti da sé; ed è forse una speciale forma di negazione, ma si vive felici). Chi ci sta, al Pigneto, narra di umanità bellissime e di senso della comunità fortissimo, e che buoni gli afrori di curcuma accaventiquattro. Ma chissà cosa direbbe il Poeta, assurto soprattutto a icona. Forse non sarebbe per niente contento.
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