Pasolini: dalle confessioni (ritrattate) di Pelosi fino ai 3 Dna sul cadavere, cosa sappiamo sull'omicidio

Nel 1975, l'intellettuale veniva ucciso all'Idroscalo di Ostia, ora la procura di Roma rigetta l'istanza di riapertura del caso: l'ennesimo colpo di scena in una vicenda che continua a far discutere, nonostante le sentenze

Caso Pasolini: dalle confessioni (ritrattate) di Pino Pelosi fino ai tre dna sulla scena del crimine, tutti i punti di una storia lunga quasi 50 anni
di Riccardo Palmi
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Venerdì 24 Novembre 2023, 12:02 - Ultimo aggiornamento: 17:41

Chi ha ucciso Pier Paolo Pasolini? È stato il solo Pino Pelosi, detto "la Rana", come affermato anche dalla Cassazione? Davvero la morte arrivò dopo «una lite tra omosessuali» (così le cronache dell'epoca) oppure ci sono aspetti ancora oscuri? Domande che tornano puntualmente da quasi cinquant'anni (al di là delle sentenze passate in giudicato). Nel frattempo, la Procura di Roma ha detto "no" a un'altra riapertura delle indagini sul caso, basata sul ritrovamento di  tre Dna individuati dal Ris sulla scena del crimine nel 2010. Per la procura i nuovi elementi portati dall'avvocato Stefano Maccioni, a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti, hanno «natura eterogenea» e «generica» e si riferiscono a «episodi di contorno, talora ripetitivi di attività già svolte e orientati verso soggetti già valutati». Una (ennesima) parola fine su una vicenda lunga quasi cinque decenni.

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C'è un cadavere all'Idroscalo

Il caso Pasolini inizia con un'Alfa Romeo che sfreccia contromano a tutta velocità sul lungomare di Ostia. Una volante la ferma: è l'una e trenta del 2 novembre 1975, festa dei morti. Alla guida c'è un diciassettenne, Giuseppe Pelosi. Ma l'auto non è sua: «L'ho rubata sulla Tiburtina» afferma. Non ci vuole molto però per risalire al vero proprietario: si chiama Pier Paolo Pasolini. Poche ore dopo, intorno alle 6.30 del mattino, viene ritrovato il corpo dell'intellettuale: è disteso in una strada dell'Idroscalo di Ostia. È stato massacrato. Pochi metri più in là c'è un anello con una pietra rossa: sarà una prova schiacciante contro Pelosi. Arrestato per il furto, il ragazzo aveva detto di aver perso proprio quel gioiello, chiedendo di cercarlo in macchina. Interrogato dai magistrati, Pelosi confessa: dice di essere stato «abbordato» da Pasolini la sera precedente, alla stazione Termini di Roma.

Dopo aver cenato, i due erano andati all'Idroscalo per una prestazione sessuale, dietro la ricompensa di ventimila lire. Ne era nato un litigio, continua Pelosi. Qui il racconto si fa concitato: Pasolini aggredisce il giovane con un bastone (Pelosi aveva dei segni sul viso al momento dell'arresto). Pelosi afferra una tavola e colpisce Pasolini, una prima volta. L'altro reagisce. Allora, di taglio, lo colpisce più volte, finchè l'intellettuale non cade a terra. Il magistrato riferisce a Pelosi che era passato con l'automobile sopra il corpo dell'intellettuale. «Non l'ho fatto apposta», dichiara Pelosi: «Ho agito per difendermi».

La morte di Pasolini, in quelle modalità, lascia l'Italia sconcertata. Con i suoi libri, film, le sue poesie, Pasolini aveva denunciato l'ipocrisia dei "figli di papà", la violenza dilagante nel Paese (siamo negli Anni di Piombo), le condizioni di vita della povera gente. E poi c'è il Pasolini "politico": quello di «Io so. Ma non ho le prove», in cui parlava di legami occulti tra estrema destra, Cia e il potere politico-istituzionale dietro la Strategia della tensione. Un intellettuale discusso, contestato, ammirato. In un certo senso, il mito di Pasolini scrittore rimane ma entra quasi in concorrenza con il "caso Pasolini". Il sospetto infatti è che Pelosi (per la stampa ora è "Pino la rana") voglia coprire qualcuno. Non poteva, lui così fragile e minuto, uccidere da solo un uomo della stazza di Pasolini, viene detto. 

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Il caso giudiziario

La stampa si butta sul caso: dalle grandi firme (come Oriana Fallaci) ai cronisti, tutti seguono una pista. Per una parte de mondo di sinistra (al quale, sia pur con alcuni distinguo, apparteneva Pasolini) monta la pista del complotto contro l'intellettuale scomodo. Per la stampa più conservatrice, invece, è solo un tentativo di rovesciare le colpe: Pasolini è l'aggressore, Pelosi una vittima che si è difesa legittimamente. Anche il collegio difensivo di Pelosi (sul quale si è molto scritto) si divide: alla fine prevale la linea della difesa dall'aggressione e l’assenza di complici. Il 10 dicembre 1975, Pelosi è rinviato a giudizio per omicidio volontario. Il processo al Tribunale di minori di Roma è pieno di colpi di scena: dal dibattito sul film – subito sequestrato – "Salò o le 120 giornate di Sodoma" (per l'avvocato Rocco Mangia una prova dell'indole sadica del regista) a Mario Appignani, non ancora “Cavallo Pazzo”, che entra in aula farneticando accuse che poi ritratterà. Pelosi viene condannato nell'aprile 1976 per omicidio volontario in concorso con ignoti, furto d’auto e atti osceni: prende nove anni e sette mesi. Per i giudici, «quella notte all’Idroscalo il Pelosi non era solo». A sorpresa, la Procura di Roma sostituisce il pm e impugna la sentenza, contestando il concorso. Lo stesso fa la difesa. Nel dicembre dicembre 1976 la Corte d’Appello conferma la condanna per omicidio volontario e furto d’auto. Ma soprattutto afferma che Pelosi era solo. Nel 1979 la Cassazione conferma la sentenza d’Appello. Pelosi è morto nel 2017.

Le riaperture

In quasi cinquant'anni, il caso è stato aperto e chiuso più volte. Nel 2005 Pino Pelosi, ospite di Franca Leosini su RaiTre, si dichiara addirittura innocente: lui e Pasolini – racconta –  erano stati aggrediti da un gruppo di persone che avevano massacrato Pasolini. Se aveva aspettato a parlare era stato per paura: nel frattempo però i suoi genitori erano morti e lui non aveva nulla da temere per loro. Il caso si riaccende: viene collegato con il furto di alcune pellicole del film "Salò", rubate poco prima della morte del regista. L'inchiesta però non va da nessuna parte. Qualcuno parla invece di un legame con Petrolio, il romanzo incompiuto e uscito postumo, nel quale Pasolini ripercorre le trame dietro la morte di Enrico Mattei. L'ultimo (o meglio, il pentultimo) caso si chiude nel 2015. Ad aprirlo, le sollecitazioni di un cugino di Pasolini e del ministero della Giustizia. Una testimone racconta di aver sentito voci di più persone quella notte. Si ipotizza di analizzare il Dna, ma non è più possibile, essendo trascorso così tanto tempo. Pelosi intanto ha cambiato ancora opinione: ora afferma in un libro di aver fatto da intermediario per la restitutuzione delle riprese di "Salò" rubate. A uccidere Pasolini sarebbero stati i fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, due malavitosi legati al mondo dell'estrema destra. Negli anni gira anche il nome di Giuseppe Mastini, alias Johnny lo Zingaro, un altro criminale vicino a Pelosi. Fino all'ultimo epilogo, con il "no" della Procura di Roma all'ennesima riapertura del caso.

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