Videogame, c’è Roma alla console

Videogame, c’è Roma alla console
di Andrea Andrei
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Lunedì 9 Maggio 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 15 Maggio, 20:14
Al “casual friday”, il venerdì in cui nelle aziende d’ispirazione americana si va vestiti sportivi, preferiscono il “Gnocchi’s thursday”, il celeberrimo giovedì che a Roma si dedica alla pasta di patate. Ma fra loro parlano inglese anche se quasi tutti sono cresciuti nella Capitale. Storm in a Teacup è una delle tante case di sviluppo di videogiochi che hanno sede nella Città Eterna, nonché una delle più apprezzate: secondo l’ultimo rapporto di Aesvi, associazione che rappresenta l’industria videoludica italiana, nel nostro Paese questo mercato vale 1 miliardo e il 50% delle persone gioca ai videogame. Un business in crescita, che vede impegnata anche la Capitale.

Storm in a Teacup è un team di una decina di persone, età media 30 anni scarsi, guidato da Carlo Ivo Alimo Bianchi, 34enne romano di origini brasiliane. Dopo nove anni di esperienze all’estero nei più importanti studi di sviluppo di videogame, da Ubisoft a Warner Bros, Carlo ha deciso di tornarsene nella sua città e realizzare un progetto che da parecchio gli ronzava in testa: un videogioco poetico, dalle atmosfere oniriche, un’avventura magica di esplorazione e ricerca, basata su una trama profonda e su un design fantasy. Ma voleva realizzarlo lì, a casa sua. «Sai perché ho deciso di lasciare una carriera avviata e un ottimo stipendio?», chiede seduto all’ombra di una veranda nel quartier generale della sua azienda. Poi si risponde subito da solo: «Perché ero stanco di non poter mettere radici. Ma soprattutto perché non c’è niente come l’aria di Roma». 

Così nacque la sua startup, nel 2013, con sede al Torrino. E così nacque N.E.R.O., lanciato nel 2015 in esclusiva per Xbox One (dallo scorso 29 aprile è disponibile anche per Pc, mentre entro l’anno approderà su PlayStation 4), eletto come miglior videogame italiano al Premio Drago d’Oro 2016, gli “Oscar” nazionali videoludici organizzati da Aesvi. «Siamo riusciti a stringere una partnership esclusiva con un’azienda importante come Microsoft già per il nostro primo progetto - racconta Carlo, soddisfatto - non era mai accaduto a una software house italiana». Oggi il valore della sua azienda ammonta a tre volte l’investimento iniziale.

LA STORIA 
Una storia simile a quella di tante startup di successo, nate nei garage. Ma più che un garage, la loro sede è un grazioso casolare in mezzo al verde, con tanto di tetto spiovente in legno e veranda con barbecue. Un posto in cui, quando non si ride e scherza, regna un silenzio assoluto, nonostante i computer accesi.

Storm in a Teacup, letteralmente “tempesta in una tazza di tè”, è un'espressione inglese per intendere qualcosa che solleva un polverone ma che in realtà si può risolvere facilmente. Una sorta di “tanto rumore per nulla”, in sostanza. Solo che in questo caso può assumere anche un altro significato. Perché quella che avviene in questo tranquillo edificio in periferia è una vera e propria tempesta creativa. Il team, formato da giovani game designer e 3d artist che hanno grande dimestichezza con i programmi di sviluppo, è al lavoro su un nuovo titolo. «È una favola dalle atmosfere orientali», spiega Eleonora Lucheroni, pr manager nonché unica ragazza e unica laureata dell’azienda, «Vorremmo che fosse un trampolino per progetti futuri più grandi».

IL FUTURO
Un obiettivo che sembra alla loro portata: Storm in a Teacup è molto apprezzata all’estero, specialmente in Europa e Stati Uniti. «Ci hanno criticato perché N.E.R.O. è in inglese senza sottotitoli in italiano. Ma non siamo riusciti a metterli solo per motivi di organizzazione - spiega Eleonora - Siamo romani e italiani, e siamo orgogliosi di esserlo, anche se quando hai una passione e un obiettivo comune non ti importa nulla della provenienza geografica, della razza o del sesso dei colleghi». Ma allora perché non ambietare un gioco a Roma? «Ci stiamo pensando - rispondono seri - Ma adesso basta, è ora di pranzo. Andiamo a mangiare gli gnocchi. Vieni con noi?»
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