Robert Capa, i suoi scatti a San Gimignano: la seconda guerra mondiale nei volti della gente comune

Robert Capa, Benvenuto alle truppe americane a Monreale, 23 luglio 1943
di Luisa Mosello
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Sabato 5 Marzo 2016, 17:41 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 14:11

Robert Capa torna in Italia e porta con sé tutta l’emozione, viva, concreta, delle sue immagini. Lui che da fotoreporter in terra tedesca, esiliato dalla natia Ungheria nel 1931, va prima in Spagna a documentare la guerra civile alla fine degli anni Trenta e poi arriva qui da noi.
 



Lo fa come corrispondente di guerra, fra il 1943 e il 1944 per raccontare con la lucidità e l’energia dell’obiettivo le mille sfumature del conflitto vissuto nel nostro Paese dalla gente comune e dai soldati in un grande affresco di esistenze e re-sistenze. Ora i suoi scatti impregnati di emozioni concrete e mai retoriche sono esposti nella mostra “Robert Capa in Italia 1943-1944” allestita da sabato 5 marzo fino al prossimo 10 luglio nel cuore della Toscana a San Gimignano.

Curata da Beatrix Lengyel e ideata dal Museo Nazionale Ungherese di Budapest propone 78 foto esposte alla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” nel cuore della splendida cittadina delle torri in provincia di Siena. Un viaggio nello sguardo di colui che può essere considerato uno dei padri del fotogiornalismo e che in vent’anni di lavoro ha documentato ben cinque conflitti mondiali. Sempre lì dove erano i fatti: «Se le tue fotografie non sono all’altezza, non eri abbastanza vicino», affermava spesso.

Ecco allora momenti unici, che hanno fatto e disfatto la storia del nostro Paese, immortalati in quelle immagini in bianco e nero dal fascino sempre attuale. Ecco la resa di Palermo, la gente che fugge da Montecassino, le vittime delle Quattro giornate di Napoli. E poi i volti, le espressioni, gli sguardi e le movenze di un’umanità allo sbando e insieme pregna di speranza, civili e soldati insieme. Un’umanità che per Capa era sempre e comunque viva. Come lui. Tanto da far dire ad Ernest Hemingway al momento della morte del fotoreporter «E’ stato un buon amico e un grande, coraggiosissimo fotografo. Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto».

 

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