Manetti Bros, i fratelli del cinema "temerario": «Con "Ammore e Malavita" restituiamo giustizia a Napoli»

Manetti Bros, i fratelli del cinema "temerario": «Con "Ammore e Malavita" restituiamo giustizia a Napoli»
di Gloria Satta
3 Minuti di Lettura
Martedì 3 Ottobre 2017, 08:56 - Ultimo aggiornamento: 6 Ottobre, 14:10

Pensate di essere le mosche bianche del cinema italiano? «Sì. Assolutamente. Ci sentiamo al di fuori del circuito industriale, non ci siamo mai piegati alle logiche commerciali. Veniamo da una cultura cinematografica diversa dalla maggior parte dei registi, che sono di estrazione borghese. E possediamo una sfrontata temerarietà». Parlano a una voce, così come scrivono e dirigono i loro film, i Manetti Bros: Antonio, 47 anni, e Marco, 49, romani del quartiere Delle Vittorie, un curriculum denso di videoclip, una filmografia che schiera titoli di culto da Zora la vampira a Song 'e Napule fino a Ammore e malavita, lo scoppiettante crime musical che ha conquistato la Mostra di Venezia ed esce giovedi in sala.
Ed è proprio per parlare di questo ultimo film, interpretato da un cast esplosivo (Giampero Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso, Raiz), che i Manetti Bros sono venuti a trovarci in redazione. «Ammore e malavita è il film che ci rappresenta di più, non abbiamo mai lavorato con tanta libertà», ci hanno spiegato in coro.

LE CONTAMINAZIONI
Passioni e destino, pallottole e colpi di scena, inseguimenti tra i vicoli e musica irresistibile: il film, che si avvale delle scintillanti coreografie di Luca Tommassini e della colonna sonora firmata Pivio & Aldo De Scalzi, è un mix tra Grease e la sceneggiata napoletana, Tarantino e Flashdance, James Bond e Travolta. «Napoli è stata più che mai una fonte di ispirazione con i suoi caratteri, i suoi colori, le sue sonorità», affermano i Manetti. «Un ruolo fondamentale, oltre ai bravissimi protagonisti, lo svolgono infatti Raiz, il cantante degli Almamegretta, Franco Ricciardi, Antonio Buonuomo, il gigante della sceneggiata Pino Mauro».
E come si fa, accostandosi a Napoli, a evitare i luoghi comuni? «Ogni volta che si parla della città, si tirano in ballo camorra e spazzatura. Noi abbiamo voluto restituire un po' di giustizia a Napoli rispolevando gli stereotipi migliori: la simpatia, l'apertura mentale, l'astuzia, la vitalità. Non bisogna aver paura dei cliché né cercare l'originalità a tutti i costi. Abbiamo raccontato la realtà di Napoli per come l'abbiamo vista. Senza alcun pregiudizio. E mostrando il mare, che di solito sullo schermo si vede poco».

LA LEZIONE DEI VIDECLIP
I Manetti sono cresciuti con la passione del cinema. «Papà pittore-restauratore, mamma proveniente da una famiglia di insegnanti facevano teatro e ci portavano spesso in sala: Hitchock, di cui abbiamo visto tutti i film da piccoli, ha rappresentato la nostra scuola», raccontano Antonio e Marco. «Abbiamo studiato sceneggiatura per un po', ma tutto quello che sappiamo fare l'abbiamo imparato sul campo». La lezione più grande è venuta dai videoclip: «Ci hanno insegnato l'importanza del rapporto tra musica e immagini e a lavorare in tempi rapidissimi, tanto che a 25 anni avevamo già accumulato un'esperienza da paura. I video musicali ci hanno poi abituati a districarci con i piccoli budget e a mettere tutti i soldi sullo schermo, senza sprecarli nelle comodità per registi e attori».
I riferimenti dei giovanissimi Manetti sono i maestri del cinema americano fine anni '70: «Coppola, Spielberg, James Cameron sono stati i nostri idoli oltre naturalmente a Hitchcock: ognuno dei suoi film contiene tutti gli ingredienti necessari per fare centro», spiegano i Manetti Bros. «Poi ci siamo innamorati del cinema orientale capace di coniugare romanticisimo e azione e i nostri punti di riferimento sono diventati Wong Kar-wai, John Woo, Tsui Hark».
Oggi, tra i cineasti italiani, i due fratelli amano Paolo Virzì, «che non potrebbe essere più lontano dal nostro cinema», e Sydney Sibilia, più in sintonia con loro. E sul set come si dividono i compiti? «Facciamo tutto insieme, scatenando un bel po' di casino». Antonio, che è anche operatore alla macchina, dialoga con la troupe. Marco tiene a bada gli attori. «Ma abbiamo la stessa visione e proviamo le stesse emozioni».