Addio a Jean Gruault, leggendaria "penna" di Truffaut, Resnais e Rossellini

Jean Gruault (col cappello,) accanto a François Truffaut, in una scena di
di Fabio Ferzetti
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Mercoledì 10 Giugno 2015, 18:24 - Ultimo aggiornamento: 18:34
È morto a 90 anni Jean Gruault, grande sceneggiatore francese, “penna” di nomi come Truffaut, Rivette, Resnais, Téchiné, collaboratore di Rossellini e almeno una volta anche di Godard (per Les carabiniers). Nato a Fontenay-sous-Bois il 3 agosto 1924, romanziere, commediografo, librettista d’opera e anche attore, alla fine degli anni 40 Gruault prende parte alla grande stagione dei cineclub del Quartiere Latino con compagni di passione cinèfila che si chiamano Maurice Schérer (futuro Eric Rohmer), Claude Chabrol, Jean-Luc Godard eccetera. Ma il teatro e la storia gli piacciono almeno quanto il cinema, tanto che dopo aver esordito nel 1958 col primo film di Jacques Rivette, Paris nous appartient, scriverà prevalentemente film in costume.



Nel 1961 sceneggia (con Diego Fabbri, Franco Solinas e altri) Vanina Vanini per Roberto Rossellini, dalla novella di Stendhal. Dall’amicizia con Rossellini, con cui pochi anni dopo scrive il decisivo La presa del potere da parte di Luigi XIV, nasce anche il film di Godard. Il regista di Roma città aperta aveva infatti messo in scena per il festival di Spoleto la pièce antimilitarista del siculo-parigino Beniamino Joppolo, I carabinieri. Il fiasco era stato clamoroso, ma Gruault aveva convinto Rossellini a riassumere la commedia in un lungo messaggio registrato destinato a Godard...



Così sarebbe nato Les carabiniers, 1963, unica collaborazione tra il regista di Fino all’ultimo respiro e Gruault. Che nel frattempo però aveva scritto Jules e Jim, capolavoro di Truffaut, inaugurando una collaborazione basata su un singolare metodo di lavoro: Truffaut spediva a Gruault i libri tutti annotati e sottolineati, Gruault partiva da quegli appunti per sviluppare un primo abbozzo, e via di seguito.



Il metodo funziona così bene che i due scrivono insieme film destinati a fare epoca: Le due inglesi (tratto come Jules e Jim da un romanzo di Henri-Pierre Roché), Il ragazzo selvaggio, Adèle H., La camera verde (da Henry James). Mentre ci vorranno più di quarant’anni perché Julien et Marguerite, storia seicentesca di un incesto scritta per Truffaut, diventi un film diretto da Valérie Donzelli, presentato con esiti a dir poco controversi all’ultimo festival di Cannes.



Fondamentali anche i due film che Gruault sceneggia per Jacques Rivette. Dopo Paris nous appartient tocca a Susanna Simonin, la religiosa (da Diderot), 1966, che viene censurato e suscita un putiferio nella Francia pre-1968 (celebre l’infuocata lettera aperta di Godard a Malraux, apostrofato “ministro della Kultur”). Mentre è di pochi anni dopo un altro incontro importante: quello con Alain Resnais, per cui Gruault scrive Mon oncle d’Amérique, 1980, uno dei suoi capolavori, e subito dopo La vita è un romanzo e L’Amour à mort.



Resnais, fra l’altro, gli chiede di scrivere le biografie dettagliate di tutti i personaggi del film, anche se quei dettagli non si vedranno sullo schermo, incombenza a cui lo sceneggiatore si dedica con vero entusiasmo. Così come, sempre per entusiasmo, già ultraottantenne non esiterà a farsi produttore per aiutare la regista Emmanuelle Demoris a girare un documentario-fiume su Alessandria d’Egitto, Mafrouza.



Ultimamente, racconta Valérie Donzelli, aveva accettato anche l’idea di mettersi al lavoro su un nuovo progetto. Doveva scrivere con lei un copione su Giovanna d’Arco. «A una sola condizione però», aveva obiettato Gruault. «Che sia lesbica».
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