Kuma: «Piccolo è bello». La bellezza del minuscolo secondo l'archistar giaponese

Kuma: «Piccolo è bello». La bellezza del minuscolo secondo l'archistar giaponese
di Massimo Di Forti
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Domenica 6 Ottobre 2013, 13:28
E’ la grande sfida architettonico-urbanistica del Terzo Millennio. Il Davide della morbidezza e delle piccole dimensioni non arretra davanti al Golia high-tech delle grandi. In gioco sono le sorti di sette miliardi (in progress) di abitanti del Villaggio Globale stretto da crisi e svolte epocali. Kengo Kuma, stella della progettazione e del design giapponese, non ha dubbi su dove e come schierarsi. «Il design piccolo», sostiene richiamandosi a principi-guida dell’architettura e del pensiero orientali, «è il nostro futuro. Viviamo in una fase di transizione ma l’errore fatale sarebbe quello di restare succubi dell’idea di grandezza che ha creato terribili danni urbanistici e ambientali. Dobbiamo riconciliarci con la natura e progettare spazi a misura d’uomo». Sembra di rileggere le parole del Tao te ching di Lao-tsu che lodava la morbidezza del lattante come espressione della vita mentre la durezza del cadavere lo era della morte. Ma anche quelle dell’occidentale Frank Lloyd Wright, padre dell’architettura organica: «In Giappone tutto è natura».



LA STAR

Autore di opere-simbolo dell’alleanza tra architettura e natura come la Casa di bambù costruita sotto la Muraglia Cinese, Kuma è stato con Joao Nunes, maestro portoghese dell’architettura del paesaggio, protagonista di R.E.D.S, il simposio internazionale del design che Wolters Kluwer Italia ha organizzato nei giorni scorsi alla Sapienza per fare il punto su progettazione e bellezza, sostenibilità, energia, rifiuti e mobilità della scena urbana prossima ventura.

E Kuma, nel suo attacco alla grandeur, parte da lontano. Anzi dal principio. «Fu una reazione allo sconvolgente terremoto di Lisbona del 1755», dice. «Ci furono circa 60 mila morti e allora la popolazione mondiale era di 700 milioni di persone. L’apoteosi delle grandi dimensioni volute da Napoleono III e dal barone Haussmann si spiega così. Da allora l’idea di una città grande e forte non ci ha più abbandonato. Ma, dopo quello che è successo con lo tsunami del 2011 e con la centrale nucleare di Fukushima, sappiano che grande e forte non significa affatto sicuro. Le grandi dimensioni non ci proteggono e danneggiano l’ambiente».



Un’altra esperienza fondamentale fu la crisi economica che colpì il Giappone all’inizio degli anni 90. Ricorda Kuma: «A Tokyo, regno delle grandi strutture, non c’era più lavoro. Così potei capire, lavorando nelle zone di Tohoku e Shikoku con i loro spazi ridotti e irregolari, quanto fossero importanti le piccole dimensioni. Quei luoghi liberavano un flusso di energia, risorse, materiali e creatività umana capace di esprimere un’intima bellezza. Fu un’illuminante scoperta. Mi consentì di voltare le spalle all’imponenza dei progetti che ci richiedevano a Tokyo e di creare, al posto di strutture voluminose, alla forma e all’essenza dei luoghi dove i progetti dovevano sorgere. Insomma, significava spostare l’attenzione dall’architettura come oggetto al luogo visto non più passivamente bensì come sorgente creativa del progetto stesso».



GLI OPPOSITORI

Ovviamente, il fronte della grandezza e dell’high-tech non cede e replica con frecciate polemiche. Com’è possibile - chiedono molti protagonisti della scena architettonica - pensare, ad esempio, che la piccola dimensione possa rispondere alle esigenze di una popolazione sempre più concentrata nelle nuove megalopoli orientali? Kuma e i fautori del “piccolo è bello” rispondono che il vero problema è, più in generale, quello dell’inadeguatezza delle politiche urbane finora perseguite, soprattutto nei paesi più industrializzati. Sostiene Kuma, citando ancora lo choc provocato dagli incondenti nucleari che hanno colpito il Giappone e l’opinione pubblica mondiale: «Senza l’aiuto delle centrali nucleari non sarebbe stato possibile costruire nuove strutture grandi e forti. Le centrali sono la conseguenza di una civiltà che ha desiderato oggetti di forza e grandezza. Abbiamo ricevuto una lezione su quanto arrogante e innaturale fosse questo corso». E aggiunge: «Meglio la debolezza, il soft».



Sono idee pienamente condivise da Joao Nunes. Il maestro portoghese, che ha lasciato anche in Italia segni della sua arte con la Casa nel parco di Jesolo e nel milanese Parco Forlanini, ha il dono di interpretare la sostenibile leggerezza della natura con progetti di straordinaria eleganza dinamica e con il rispetto, persino poetico, dei luoghi. Ammonisce: «Guai ad aggredire la natura. E’ uno spreco di energia e un errore». La sfida di Davide alla grandeur è appena all’inizio.
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