Salvini a Rosarno: io non starò mai in un governissimo

Salvini a Rosarno: io non starò mai in un governissimo
di Mario Ajello
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Domenica 18 Marzo 2018, 09:50 - Ultimo aggiornamento: 11:52
dal nostro inviato
ROSARNO C'è anche l'inno. Sembra Menomalechesilvioc'è e invece è per Salvini, s'intitola Il Capitano, lo cantato quasi tutti e sono un migliaio i leghisti calabresi dentro e fuori questa sala scolastica del liceo Piria, dove pure la preside tifa Carroccio. Grande omaggio al senatore di Rosarno, sì proprio lui, Matteo il lumbard che festeggia il 13,8 del suo partito in questo paesone strapieno di neri che lavorano nei campi e nessuno lo vorrebbe più vedere. «Tutti insieme / con Salvini si può fare», dice l'inno e continua con una stoccata cantante a Berlusconi: «L'unità non ha padrone». Inteso come Silvio, perché Matteo in questa sala appassionatissima del disgraziato di Sud lo chiamano tutti «il Presidente». E lui: «Formare un governo è difficile ma ce la sto mettendo tutta». «Mai con i grillini», gli gridano, lui non raccoglie. E incalza: «Vi garantisco, se vado al governo, solo due cose. Un po' di lavoro in più e un po' di immigrati clandestini in meno».

Neanche una sillaba conciliante con Berlusconi, neanche una. Anzi, si mette di traverso così il senatore lumbard di Rosarno rispetto alle manovre di Berlusconi: «Io non sarò mai in un governo con dentro tutti, per non fare niente». Parla come se il Cavaliere non ci fosse più Salvini, sapendo benissimo che Silvio c'è eccome, quasi come nella canzone che lo celebra. Ma sa anche il leader calabro-padano leghista quanto si stia rivelando difficile districarsi in questa partita per il governo. Ha paura di non farcela Salvini.

BACCHETTA MAGICA
«Non ho la bacchetta magica», dice e ridice, e ripete più volte: «Io ci sto provando ma... Vedremo». I voti li ha presi, e tanti, qui tutti lo vogliono a Palazzo Chigi, ma il percorso sta diventando tortuoso, e anche per questo proclama: «Io continuo a girare da Nord a Sud lungo tutto il Paese. Non mi fermo». Come se, in questa fase post-elettorale, lui abbia adottato un format pre-elettorale reso necessario dalle difficoltà che sta incontrando a Roma e all'interno della sua coalizione. Molti se («Se faremo il governo non durerà cinque mesi, ma dieci anni»), l'insistenza sulla propria pervicacia quasi a dispetto di tutti («Io sono cocciuto, sono una testa dura» e la platea: «Lo vedi che sei calabrese?!?!») e anche la certezza del voto subito vacilla, avendo contro Mattarella, i nuovi eletti e soprattutto la gran parte della sua coalizione e infatti: «Non ho paura di andare a votare ma non possiamo riportare continuamente al voto gli italiani».

Tirata anti-europea: «Grazie dell'olio calabrese che mi avete regalato, ma ci vuole qualcuno che a Bruxelles dica: questo è l'olio su cui bisogna puntare, non su quello marocchino». Ovazione. Ma è sul lavoro che insiste. Lo hanno votato per questo al Sud. E in platea solo di questo si parla. Quasi solo per questo si è puntato su Salvini (ma il voto ormai è volatile e viene commentato così: «Ora proviamo con lui, ma se anche lui non combina niente, avanti un altro») e lui lo sa: «La gente quaggiù mi chiede: dammi la possibilità di lavorare e non farmi pagare il 60% di tasse». Ma il governo si farà? Se si farà, il senatore lumbard di Rosarno ha il programma pronto per il primo anno: «Via la legge Fornero, Flat Tax, legittima difesa per i cittadini aggrediti. E vediamo chi ci sta su queste nostre proposte».
E sembra anche, ma solo visivamente, in una fase un po' mistica Matteo. Ringrazia continuamente i suoi elettori sudisti unendo le mani nel segno della preghiera, ma con in più un inchino che sa di buddismo. E mostra il rosario, nuovo, che gli ha regalato un ragazzo mentre stava entrando in sala. Il «ce la metto tutta» è il suo mantra. E non è minimamente illusionista - «troppe volte vi hanno promesso tutto e non vi hanno dato niente» - questo leader venuto dal Nord ma che ha trovato un'empatia non solo elettorale con i calabresi. Cita Corrado Alvaro («Scrittore che ha detto tutto»), ricorda un altro calabrese celebre, Rino Gaetano («Mia figlia di cinque anni andando a scuola canta sempre Il cielo è sempre più blu»), e soprattutto: «Oggi partendo per arrivare nella vostra regione ho telefonato a un grande calabrese, Rino Gattuso, gli ho detto che stavo venendo qui e con lui con lui ci vedremo a San Siro per il Milan».

Ora è qui il calabro-lumbard e vorrebbe tornarci: «Spero di venire di nuovo da presidente del consiglio». Spero di ricoprire quel ruolo, non ne è affatto sicuro. La grisaglia istituzionale da premier già la indossa - felpe adieu, detto alla calabrese - ma guarda caso manca la cravatta. E in quell'assenza c'è il suo dubbio che possa davvero arrivar a Palazzo Chigi. E la stessa incertezza si legge nelle maniche, che a un certo punto egli comincia ad arrotolare, della sua comicità bianca. Dimostrano la consapevolezza che gli tocca ancora lavorare molto, per perfezionare il successo.

 
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