Politica e toghe/ Il fuoco amico che ostacola l’avanzata garantista

di Carlo Nordio
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Giovedì 21 Aprile 2016, 00:55 - Ultimo aggiornamento: 15:50
Rincuorato dall’esito del referendum, e stimolato dalla balbettante reazione degli sconfitti, il presidente Renzi ha affondato la lama nella piaga dei processi penali, e ha detto quello che nessun leader di sinistra aveva mai osato dire: che negli ultimi venticinque anni il Paese ha assistito a momenti di “barbarie giustizialista”.

Ha citato, opportunamente, l’uso strumentale delle intercettazioni e dell’informazione di garanzia. Avrebbe potuto continuare a lungo. Magari concludendo che, in un Paese normale, non è affatto normale che i magistrati che hanno indagato i politici si presentino alle elezioni per prendere il loro posto. Ma dopo l’infelicissima uscita del governatore della Puglia - ex pubblico ministero – che ha sostenuto di aver vinto dopo aver sonoramente perso, forse non ha voluto infierire. Ma è possibile che si riservi l’argomento per una prossima occasione.

Chi, come noi, auspica da sempre una coraggiosa reazione del potere politico davanti alle storture di un sistema giudiziario invadente e anomalo, non può che rallegrarsi davanti a una presa di posizione così netta. Con l’auspicio, va da sé, che alle parole seguano i fatti, e che il premier non si intimidisca davanti alle prevedibili reazioni delle anime belle del giacobinismo forcaiolo, come già avvenne anni fa ad alcuni suoi predecessori. Ricordiamo che persino il roccioso presidente D’Alema rinunciò alla sua riforma bicamerale su pressione dell’associazione magistrati.
 
Ma i tempi mutano, e così le persone. Forse questa è la volta buona. Potrebbe esser la volta buona perché la sortita del primo ministro ha trovato consensi diffusi, anche in ambienti sino a ieri impermeabili all’analisi razionale delle distorsioni dei rapporti tra giustizia e politica. Persino un’esponente grillina ha ammesso che un’informazione di garanzia non è un buon motivo per l’ineleggibilità a una carica o per l’esclusione da essa. È una cosa ovvia.

Ma non lo era fino a ieri. Quindi, come dice il poeta, forse la ragione riprende a parlare, e la speranza a rifiorire.
C’è tuttavia un paradosso in queste novità. Il paradosso risiede nell’atteggiamento di un centrodestra che, dopo aver predicato per anni un garantismo talvolta esasperato, retrocede ora in un prudente attendismo che sconfina nell’ambiguità. Invece di applaudire il premier, incoraggiandolo con una convergenza di intenti, sembra oscillare tra esitazioni e silenzi, rischiando di legittimare il sospetto, che vogliamo ripudiare con orrore, che le precedenti battaglie fossero ispirate, più che dalla nobiltà dei principi, da calcoli di interessi personali.

È vero, e possiamo concederlo, che la politica - come il cuore - ha delle ragioni che la ragione non conosce, e che le ragioni dell’avversario possano essere avversate per opportunismo tattico, a prescindere dalla loro validità. Questo del resto lo abbiamo visto in occasione del referendum, dove il centrodestra ha incoraggiato il voto principalmente in odio al governo, senza peraltro considerare che l’eventuale successo degli abrogazionisti sarebbe stato monopolizzato dai grillini e dall’estrema sinistra. Più o meno come quaranta anni fa avvenne con il referendum sul divorzio, dove la vittoria di una legge firmata da un socialista e da un liberale spianò la strada al successo comunista e al successivo compromesso storico. Tuttavia vi sono argomenti sui quali vorremmo che il calcolo politico cedesse davanti all’importanza del principio. E la giustizia è uno di questi.

La libertà personale vulnerata dall’eccesso di custodia cautelare; la dignità calpestata dalle intercettazioni generalizzate e diffuse; il pretesto dell’informazione di garanzia come strumento di estromissione degli avversari politici; l’andirivieni di magistrati dai tribunali al parlamento, e viceversa; ecco, questi, e tanti altri argomenti analoghi, sono così essenziali alla dignità dello stato che non possono essere asserviti e piegati alle convenienze elettorali. Perché, come ricordò in una solenne occasione Benedetto Croce, accanto a persone per le quali Parigi val bene una messa ve ne sono altre per le quali una messa conta molto più di Parigi: perché, ammonì il filosofo, “è questione di coscienza”.
 
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