Isis, terrorista australiano 18enne morto in un attentato suicida: era noto come lo "jihadista bianco"

L'immagine postata su Twitter da Jake Bilardi lo scorso dicembre
di Giulia Aubry
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Giovedì 12 Marzo 2015, 12:14 - Ultimo aggiornamento: 15:01
Un bel ragazzo. Con i lineamenti ancora delicati di chi ha varcato da poco la soglia della maggiore età. Una vaga somiglianza, soprattutto per quei capelli lunghi e scapigliati, con Dzhokhar Tsarnaev, l’americano di origini cecene, responsabile dell’attentato alla maratona di Boston.

Così compare nelle foto pubblicate sul web - tra canali Twitter, pagine Facebook e un blog presumibilmente riconducibile a lui – Jake Bilardi, il diciottenne australiano di Melbourne che la propaganda di IS sostiene essere rimasto ucciso mercoledì in un attacco suicida coordinato a Ramadi, nella provincia di Anbar in Iraq.



A dicembre dello scorso anno, sul suo canale Twitter, il giovanissimo Bilardi aveva pubblicato una foto in cui compariva, arma in pugno, tra due combattenti, di origine presumibilmente mediorientale e nordafricana, con alle spalle la bandiera dello Stato Islamico. Lo “jihadista bianco” era stato immediatamente soprannominato dai media australiani e britannici.



Uno studente australiano, di lontana origine italiana, convertitosi all’Islam, partito dall’Australia lo scorso anno ed entrato in Iraq attraverso la Turchia per unirsi ai combattenti di cui voleva condividere la sorte. Uno dei 90 combattenti di Isis partiti dall’Australia, molti giovanissimi e non tutti figli di immigrati o di origine araba.



«Sono venuto qui – aveva dichiarato a dicembre a un giornalista della BBC che era riuscito a intervistarlo – per inseguire la morte e per farlo uccidendo più infedeli possibile». Una frase che, se la notizia della sua morte risultasse vera (il governo australiano è ancora al lavoro per verificare l’accaduto), sembrerebbe qualcosa di più di una dichiarazione di intenti. Guidando il fuoristrada bianco, che compare in alcune immagini diffuse dallo Stato Islamico, Bilardi avrebbe contribuito alla morte di almeno 17 persone, e al ferimento di quasi 80, nella città di Ramadi.



Il diciottenne australiano aveva anche acquisito un nome di battaglia, Abu Abdullah al-Australi e, alla domanda del giornalista della BBC che voleva capire se fosse in qualche modo obbligato a restare in Iraq a combattere, aveva risposto, apparentemente senza esitazione: «siamo tutti liberi di cambiare idea, è la nostra vita!». Una vita che però si è sempre più identificata con la morte per quel giovane che, a Melbourne, viene descritto come «un ragazzo molto tranquillo», un po’ «chiuso in sé stesso» e che invece, a migliaia di chilometri di distanza, nel vento sabbioso di Ramadi potrebbe aver guidato una macchina imbottita di esplosivo. Lo stesso esplosivo che – scrive la ABC Australia – il giovane avrebbe lasciato nella casa di famiglia a Melbourne. Lo avrebbe utilizzato – sembra di capire leggendo il suo blog, tra dichiarazioni di fedeltà a Bin Laden e critiche al governo australiano per il suo impegno contro i talebani in Afghanistan -, per un attentato a un centro commerciale locale, nel caso in cui non fosse riuscito a compiere il suo “pellegrinaggio” da martire nelle terre dello Stato Islamico.