La Guardia costiera aveva trovato a bordo 35 armi e 6.000 munizioni: una circostanza che non desta stupore, visto che la società AdvanFort, proprietaria della nave, fornisce scorte anti-pirateria a bordo dei mercantili nell'Oceano Indiano. Gli uomini condannati hanno sempre negato ogni addebito e affermano di essere stati abbandonati dai loro datori di lavoro che, dal novembre 2013, subito dopo il loro arresto, non li hanno più pagati.
Dopo la condanna, uno degli ex soldati britannici, Nick Dunn, ha detto: «Non hanno nessuna prova contro di noi per dire che abbiamo commesso qualche reato, eppure ci hanno dichiarati colpevoli. E' assolutamente ripugnante».
Ora i condannati hanno 90 giorni di tempo per ricorrere in appello: e infatti già preannunciano battaglia. La vicenda ha vari punti di similitudine con quella dei nostri marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, arrestati nel febbraio 2012 per l'uccisione di due pescatori mentre erano a bordo di una petroliera italiana. E anche in questo caso sembra che la diplomazia britannica sia al lavoro per tentare di trovare una soluzione, mentre in Inghilterra diversi politici annunciano di voler promuovere una campagna per la liberazione dei reclusi.
Il portavoce del Foreign and Commonwealth Office ha detto: «Il nostro staff in India e nel Regno Unito è in stretto contatto con i nostri sei concittadini arrestati per fornire supporto a loro e alle loro famiglie, assistenza legale compresa».
«E' impensabile - dice Ken Peters, direttore di Giustizia e Affari Pubblici presso la Mission to Seafarers - che professionisti altamente qualificati e opportunamente accreditati per svolgere un lavoro che protegge gli interessi di tutto il mondo vengano penalizzati in questo modo».
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