Dentro l’Islam è in corso una cruenta guerra per l’egemonia, in una sanguinosa rincorsa a piazzarsi come i campioni del jihad rispetto alle nuove platee di giovani islamici in cerca di un’identità e di un ruolo nel nuovo mondo globalizzato, dove tali identità stridono e frizionano. Questa lotta per l’egemonia purtroppo vede da tempo fuori gioco i riformisti, a cui l’occidente non ha teso non diciamo una mano ma nemmeno un mignolo, nel momento delle cosiddette “primavere arabe”. Persa quell’occasione di ridisegnare un nuovo ordine regionale, tale brutale gara è passata a giocarsi nella galassia del jihadismo, che dopo un iniziale stop dovuto al protagonismo dei popoli arabi nel 2011, ha potuto reinstallarsi al comando della corsa.
Così stiamo assistendo alla “rottamazione” di Al Qaeda da parte della sua mutazione genetica costituita dall’Isis. L’Isis, che costituisce la vera sfida di fronte a noi e che per questo non sappiamo ancora codificare – ed anche per questo assistiamo alla pantomima di un finto intervento in Siria da parte di una coalizione dove ad intervenire sono solo gli Usa e ora anche la Russia, ma senza una focalizzazione su obiettivi intermedi o finali – conduce una efficace strategia bifronte: concentrare i suoi reali sforzi nel controllo di un territorio che si sta facendo Stato, mentre al contempo induce emuli che non vogliono diventare
Fondandosi al momento non tanto su un’organizzazione estera, quanto su un franchising del terrore senza guida esattamente come avviene per l’Intifada dei coltelli ancora in atto. L’accoltellamento di Milano è probabilmente parte di questo clima, che tende a diventare uno Zeitgeist. Di fronte a questa efficace strategia, che drena consenso tra le giovani leve, Al Qaeda risponde con la sua classica strategia che mira al nemico esterno (gli infedeli) più che agli apostati (nemico interno) che sono ancora l’obiettivo dell’Isis: Charlie Hebdo era frutto di una risposta di Al Qaeda a questa offensiva egemonica dell’Isis.
È probabile che anche i fatti di Parigi siano frutto della stessa matrice.
Se però si vuole arrestare questa folle rincorsa al consenso del terrore non basterà la repressione affidata al controterrorismo, ma occorrerà stroncare con armi, uomini e mezzi la sorgente di questa disfida. Andando a Raqqa, la capitale dello Stato Islamico. Un’operazione complessa ma oramai ineludibile. Un percorso lungo e difficile, lungo il quale non sono permessi errori, come per esempio l’etichettatura di prodotti israeliani non prodotti in Israele, o timidezze, come le resistenze della destra israeliana a far funzionare l’accordo sul nucleare con l’Iran. Occorre cambiare tutto il clima, e disegnare un nuovo Medioriente. se non vogliamo che la sua prossima storia futura, e quella di noi vicini, sia disegnata dai terroristi con il sangue, nostro e dei civili arabi inermi loro ostaggi.