Sono indagati per violenza privata ed estorsione aggravata dal metodo mafioso i genitori del baby-boss Emanuele Sibillo, il 19enne ucciso nel 2015 e ritenuto a capo del clan della Paranza dei bambini. Al centro dell'indagine c'è l'ormai celebre altarino - rimosso non senza tensioni dai carabinieri alla fine dello scorso aprile - che secondo gli inquirenti non doveva essere solo l'omaggio ad un ragazzo scomparso, ma un luogo-simbolo della capacità del clan di esercitare la propria influenza nel quartiere di Forcella. Era quell'altarino sistemato nel cortile del «palazzo della buonanima» - come era stato ribattezzato l'edificio di via Santi Filippo e Giacomo dove abitava Es 17 - che serviva a incutere timore nei commercianti taglieggiati, ma anche nei residenti dello stesso condominio. Oltre a tutte le indagini che negli anni si sono succedute sul clan e nei confronti di Vincenzo Sibillo (già detenuto nel penitenziario di Lecce) e Anna Ingenito, i genitori di Es 17, è ora quel busto in cera il fulcro delle attenzioni della Dda. Un altarino diventato luogo di culto che ha fatto aprire un ulteriore procedimento alla Dda dai sostituti procuratori Urbano Mozzillo e Celeste Carrano.
Era imposto quell'altarino al condominio di Forcella.
Stupito della nuova accusa è l'avvocato del papà di Sibillo, Dario Carmine Procentese. «Non c'è stata alcuna estorsione e - rileva il legale - figuriamoci se aggravata dal metodo mafioso».
Sulla stessa scia l'avvocato della famiglia, Rolando Iorio. «Siamo fiduciosi che i coniugi Sibillo potranno risultare estranei ai capi d'accusa che gli sono stati imputati perché in quella cappella c'erano le foto di familiari anche di altri condomini e nessuna minaccia è stata perpetrata per affiancare anche il busto e le ceneri di Emanuele in una cappella già esistente. Il costo della corrente elettrica mi risulta essere di 7 euro all'anno».
Per i pm quel luogo di culto era invece «elemento di identificazione e rafforzamento del gruppo criminale nonché luogo di commissione di reati». A tale proposito, nella maxi-retata che lo scorso aprile smantellò di fatto - oltre all'altarino - il residuo clan Sibillo, era menzionato un episodio in cui un commerciante era stato portato da membri del sodalizio criminale a prostrarsi dinanzi al busto di Es 17. Una sorta di inchino al boss e poi la richiesta di versare al clan - sotto minaccia - 50mila euro. Proprio per questo l'altarino è stato abbattuto con l'intervento dei carabinieri, per fare in modo che quel luogo non accrescesse ulteriormente, attraverso il mito criminale del baby-boss, il potere dei clan. Quell'altarino dove, spesso, anche ragazzini piccolissimi si recavano in una sorta di processione.