​Gianni Bessi

Nuovi scenari / La corsa del petrolio e gli effetti sui prezzi

di ​Gianni Bessi
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Mercoledì 29 Novembre 2023, 23:46

Le cose, è evidente, non stanno andando come previsto. Nonostante i tagli alla produzione, il prezzo del petrolio invece di salire continua a scendere.
Gli americani stanno “pompando” più greggio del previsto, a scapito proprio dei sauditi, la cui produzione è scesa a 9 milioni di barili al giorno contro una capacità produttiva di 13. Così il club dei Paesi produttori, l’Opec+, è finito in panne. Il vertice che avrebbe dovuto tenersi domenica scorsa è slittato a oggi. 
L’attesa è che la fitta nebbia sulle prossime mosse dei Paesi produttori si diradi. I contrasti stanno crescendo, soprattutto per quanto riguarda le quote di produzione e la strategia verso i mercati, che stanno registrando un calo delle quotazioni. La riunione dovrà decidere la politica di produzione per la prima metà del 2024, ma anche la posizione da assumere sul conflitto tra Israele e Palestina e le contromisure per arginare le speculazioni. Le attese sull’andamento dell’economia non aiutano i Paesi produttori perché sono all’insegna dell’incertezza. L’Opec+ ipotizza un altro anno di forte crescita della domanda di petrolio, con un aumento dei consumi di 2,25 milioni di barili al giorno. E il segretario generale, Haitham Al Ghais, la giustifica con una crescita dell’economia globale e col mantenimento delle riduzioni dell’offerta da parte di importanti fornitori come l’Arabia Saudita. L’Iea, l’Agenzia per l’energia, prevede invece che l’aumento sarà limitato a soli 930.000 barili al giorno. Nel 2023 l’Opec a guida saudita aveva giocato con il rubinetto dei pozzi nella fase in cui la domanda era alta per tenere un prezzo alto. Se la domanda è destinata a contrarsi cosa conviene di più a Riad? Continuare a tenere chiuso il rubinetto o aprirlo e così mettere fuori gioco chi ha costi di produzione superiori per il barile? All’interno dell’Opec+ comincia a farsi largo la convinzione che si debba rivedere la strategia fin qui attuata. È chiaro quanto sarà complicato per l’Opec + mantenere la propria politica di “mercato rigido” di fronte a questi segnali, se perdureranno, di caduta dei prezzi. In questo momento la posizione dell’Opec+ è difensiva, non a caso il ministro dell’Energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, ha attribuito il recente calo dei prezzi ad uno “stratagemma” degli speculatori, piuttosto che alle aspettative di un indebolimento dei fondamentali del mercato. In realtà, oltre ovviamente al mercato petrolifero in generale, chi corre più rischi di dovere fronteggiare nuove insidie è proprio l’Arabia Saudita, che si troverà a dover giocare su diversi tavoli per mantenere l’equilibrio nelle sue alleanze globali (Usa, Russia e Cina). Dietro il rinvio del tavolo quindi vi sono più ragioni oltre a quelle puramente strategiche della produzione. I paesi dell’Opec+ stanno subendo dinamiche esterne che mettono in difficoltà la loro abituale sintonia.Tra le ragioni della discesa dei prezzi del crude oil, che hanno raggiunto i minimi degli ultimi due mesi, ci sono i dati commerciali deludenti dalla Cina, che hanno sollevato preoccupazioni sulla salute economica del maggiore importatore mondiale di greggio. A questo va aggiunto il ruolo degli Usa nel mercato finanziario e del petrolio, con il dollaro che si è rafforzato e con le ventilate ipotesi di un aumento dei tassi di interesse. Le compagnie petrolifere americane – anche se il fenomeno è globale – hanno risposto agli alti e prolungati prezzi del petrolio con un aumento notevole degli investimenti in nuove estrazioni: ora le scorte Usa sono di quasi 12 milioni di barili. E molto si sta muovendo sul fronte della produzione extra Opec+. Le trattative fra Exxon e Chevron dimostrano che i giganti petroliferi si stanno adeguando ai nuovi scenari. Nel settore petrolifero e del gas negli ultimi mesi sono state concluse l’acquisizione di Pioneer Natural Resources da parte di ExxonMobil e quella di Hess da parte di Chevron. Per Exxon, in particolare, l’espansione nel giacimento di Permian permette di mantenere la redditività anche in scenari di domanda di combustibili fossili a lungo termine significativamente inferiori. In questo scenario va seguita la trattativa degli Usa con il Venezuela per definire una strategia del dopo Maduro: le riserve del Paese sudamericano e l’attuale produzione fa capire quale sia la merce sul tavolo. C’è poi il Brasile, che grazie all’azienda di Stato Petrobras, sta puntando ad aumentare la sua capacità estrattiva, per accreditarsi sulla scena mondiale come produttore di petrolio: la sua produzione è cresciuta del 4% nel 2022 arrivando a 3 milioni di barili al giorno. E ha l’obiettivo al 2030 di oltrepassare i 5 milioni per diventare il quinto produttore mondiale di petrolio. Il greggio in giro rischia insomma di essere davvero tanto. Dunque in attesa delle decisioni del tavolo dell’Opec+ vale la pena ricordare alcuni concetti inossidabili quando si parla di petrolio: intanto che il mercato è sempre imprevedibile e neppure gli arabi sono in grado di farla da padroni quando si parla di prezzo del barile. Ma anche che, visto dal lato della produzione, il petrolio ha i secoli contati. E per sostituirlo servirà una fonte o diverse fonti che abbiano la sua stessa capacità e flessibilità come commodity.
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