Giuseppe Roma
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La classifica delle città/ Se il Centro Italia può innalzare la qualità della vita

di Giuseppe Roma
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Martedì 5 Dicembre 2023, 00:08

Dicembre è mese di bilanci. Puntuali  come le scadenze fiscali e il discorso del Presidente della Repubblica a fine anno, arrivano le analisi sull’Italia e sugli italiani. Ma mentre i sondaggi su attese, paure e pulsioni dei nostri concittadini si ripetono per tutto l’anno, meno frequenti risultano gli approfondimenti sulla struttura territoriale del nostro paese. Eppure, per ragioni storiche e condizioni materiali se c’è una nazione in cui la geografia urbana ha grande influenza sull’economia e sulla società, quella è l’Italia, articolata com’è in tanti localismi e divisa, da sempre, fra Centro-Nord e Mezzogiorno. A delineare il quadro evolutivo del nostro territorio ci viene in aiuto l’annuale classifica sulla qualità della vita nelle province italiane. Un valido strumento che, sulla base di molti indicatori, valuta i livelli produttivi e di benessere esistenti in tutta Italia e ha laureato Udine al primo posto. Oltre alla giustificata curiosità per chi sale e chi scende , da queste graduatorie si possono trarre anche utili suggestioni di carattere generale. La novità forse più interessante, ma al tempo stesso più preoccupante, emersa quest’anno è la polarizzazione in pochi ambiti territoriali delle realtà economiche e sociali più avanzate.
Se spulciamo fra le prime posizioni della classifica, infatti, possiamo riconoscere almeno tre poli che, nel Nord Italia, esprimono un primato per attività economiche, ricchezza e qualità della vita. Si tratta di aggregazioni fra territori confinanti che costituiscono, ormai, delle regioni urbane interconnesse: Milano con Bergamo e la Brianza, Bologna con Modena, e Verona con Trento. E’ come se le crisi geo-politiche e un più incerto mercato globale, abbia ulteriormente ristretto le aree capaci di reagire al nuovo scenario competitivo.

Viene a questo punto da chiedersi quali conseguenze potrebbero manifestarsi se i processi appena accennati dovessero affermarsi, aumentando le diseguaglianze territoriali e restringendo le aree più avanzate del nostro paese a un pugno di province. Un primo effetto potrebbe riguardare una parte significativa del Nord-Est, protagonista per alcuni decenni dell’innovazione produttiva, dell’export e dello sviluppo dal basso, ma attualmente meno pronto ad alimentare, con ricerca e innovazione, il perdurante spirito di iniziativa imprenditoriale. Nell’epoca delle sfide energetiche, dell’intelligenza artificiale, della logistica integrata con il digitale è indispensabile per i sistemi produttivi disporre di un retroterra altrettanto avanzato di conoscenze scientifiche e tecnologiche.

Un secondo effetto negativo riguarderebbe le stesse dinamiche future dell’intero paese. Il “deserto territoriale” sarebbe peggiore dello stesso “deserto demografico” di cui tanto si parla. Concentrare in pochi punti investimenti infrastrutturali, tecnopoli per la ricerca, sanità d’eccellenza o l’alta formazione equivale a togliere linfa a quel tessuto diffuso di imprese e iniziative che costituisce il principale punto di forza del nostro paese. Inevitabilmente, un tale restringimento delle aree vitali avrebbe ripercussioni sia sul valore aggiunto complessivo che sulla benefica varietà di apporti di cui ogni grande sistema economico ha bisogno per progredire.

Gli squilibri territoriali incidono, poi, molto significativamente sulle diverse opportunità nell’accesso al lavoro e ai servizi. Da tempo registriamo, in tutto il mondo sviluppato, l’allargarsi delle fratture sociali, un arretramento del ceto medio, il manifestarsi di disparità fra generazioni. Ma queste disparità hanno in Italia una radice molto forte nella distanza esistente fra Nord e Sud. Non è pensabile che una grande metropoli europea come Napoli e persino una capitale universale come Roma, non siano messe in condizione di valorizzare le loro straordinarie risorse. Senza il loro essenziale contributo la crescita italiana rischia di tornare a galleggiare in una situazione stagnante. E’ prevedibile che, in assenza di strategie intenzionali, il lento scivolamento dello sviluppo verso il settentrione e la concentrazione nei punti forti diventerà inesorabile, escludendo zone sempre più ampie del paese. Un riequilibrio possibile dovrebbe aver cura di favorire uno spostamento del baricentro dello sviluppo verso il Centro Italia, in modo che quest’area costituisca una cerniera fra Nord e Sud evitando una definitiva irrimediabile frattura della nazione. Numerosi sono stati i tentativi di collaborazione fra le componenti istituzionali e imprenditoriali dell’Italia Centrale, un progetto su cui tornare a lavorare con l’obiettivo tendenziale di realizzare una macro-regione centrale, magari federata. Con i suoi 11,7 milioni di abitanti supererebbe i 10 della Lombardia, acquisendo, almeno per dimensioni, un peso specifico utile a riequilibrare lo spontaneo evolversi della geografia del benessere italiano.
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