Giuseppe Vegas
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Nodo automotive/ Gli obiettivi ecologisti e il contatto con la realtà

di Giuseppe Vegas
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Domenica 26 Marzo 2023, 00:04

L’accordo che si va profilando in Europa sulla possibilità che le vetture a carburanti sintetici a emissione zero possano circolare anche oltre il 2035, insieme alla previsione fondata che l’obbligo di migliorare la classe energetica degli edifici entro il 2033 possa subire slittamenti in sintonia con le singole realtà nazionali, sono il segno che una certa dose di buon senso, sia pure con qualche forzatura, di tanto in tanto alberga ancora a Bruxelles. Il punto è che in materia di transizione ecologica non si può fare finta che sia irrilevante la valutazione dei costi e dei benefici e che il fattore tempo costituisca una variabile indipendente.

Non vi è alcun dubbio che, se potessimo da domani fare a meno dei combustibili fossili, fermare i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale, sconfiggere la siccità, ripulire i mari e purificare l’aria con un semplice tocco di bacchetta magica saremmo tutti più felici. Il tema però è a che cosa occorre rinunciare in cambio. Secondo la parte apparentemente prevalente dell’opinione pubblica qualsiasi sacrificio sarebbe irrilevante di fronte alla sopravvivenza della razza umana. Si tratta ovviamente di un postulato del tutto condivisibile se posto in termini assoluti. Più ponderatamente valutabile se affrontato in rapporto alla dimensione temporale necessaria per il cambiamento. Va detto che sicuramente l’Europa ha accumulato un notevole ritardo, ma va anche detto che è costretta ad agire per la sua parte, non potendo costringere il resto del mondo a seguirla. 

Anche per questo, per ogni iniziativa che va ad assumere non può non tener conto della necessità di valutare il costo della rivoluzione ecologica e la sua sostenibilità nei tempi ristretti che si è assegnata.

Guardiamo al nostro Paese. Secondo un recente studio di Confindustria su scenari e valutazioni dell’impatto economico della decarbonizzazione in Italia al 2030, per ottenere una riduzione netta delle emissioni del gas-serra del 55 per cento rispetto al 1990 e per raggiungere la decarbonizzazione totale nel 2050, in adempimento dell’obiettivo europeo “Fit for 55”, occorrerebbe adottare una serie di misure, che vanno dall’utilizzo delle energie rinnovabili, al miglioramento dell’efficienza energetica degli impianti produttivi, ai trasporti terrestri, aerei e marittimi, ai sistemi di riscaldamento e raffrescamento, che nell’insieme comporterebbero una spesa diretta complessiva di 1.120 miliardi da qui al 2030. Atteso che ne deriverebbero benefici, tra entrate tributarie, risparmi di energia e incremento dell’occupazione per la realizzazione delle relative opere, per 595 miliardi, si dovrebbe comunque sopportare una spesa netta di ben 527 miliardi.

Ma si tratta di spese che riguardano solo gli investimenti. Ad esse si dovranno aggiungere i costi che graveranno sui proprietari di immobili, per il loro adeguamento energetico, e sugli automobilisti, per il rinnovo del parco-macchine, se vorranno continuare a muoversi con i propri mezzi. Senza trascurare quelli che graveranno sulle aziende di trasporto, anche degli enti locali, per poter continuare ad offrire i loro servizi. Il tutto tenendo conto del fatto che, a fronte del conseguente massiccio incremento del fabbisogno energetico, l’incapacità di assumere una decisione sull’utilizzo dell’energia nucleare impedirà a lungo di ottenere tutta l’energia necessaria a basso prezzo.

Occorre, poi, tener conto dei costi aggiuntivi di cui vengono caricate le imprese per garantire la sostenibilità ambientale dei loro prodotti e soprattutto dei processi produttivi.

Al netto poi degli effetti sull’occupazione, che inevitabilmente deriveranno a danno dei lavoratori in settori di nuova obsolescenza. Senza trascurare infine il costo dei nuovi e gravosi compiti, che, nella permanenza di quelli attuali, dovranno essere svolti dalla parte pubblica. Che, tra l’altro, mentre dovrà continuare a farsi carico dei problemi che minacciano la stabilità economica internazionale ed interna - come ad esempio la necessità di operare per la riduzione del debito pubblico - dovrà affrontare i nuovi costi per gli indispensabili interventi per la prevenzione e il ripristino dei danni derivanti dal cambiamento climatico e far fronte alla siccità, che, secondo una recente valutazione dello Studio Ambrosetti, potrebbe provocare danni valutabili in circa 320 miliardi. Tutti complessi interventi che andrebbero realizzati, in breve tempo e a costi ragionevoli, a condizione che si riescano a trovare le imprese ed il personale specializzato, di cui oggi non disponiamo, in grado di eseguirli.

È in questo quadro preoccupante che si inserisce la questione particolare dell’automotive. Tema questo che, non a caso, ha richiamato l’attenzione anche del governo tedesco, sceso in campo con insolita energia contro certe rigidità di Bruxelles. Si deve infatti considerare che, mentre per il miglioramento della classe energetica degli edifici si può intervenire con le risorse a disposizione di ciascun paese, elettrificare le automobili degli europei, che rappresentano solo l’uno per cento delle loro fonti inquinanti, significa condannare alla chiusura un’industria che attualmente detiene il primato tecnologico nel settore e che mantiene tuttora la sua caratteristica di volano dello sviluppo. Oltre a provocare ingenti perdite di posti di lavoro, valutate solo in Italia nell’ordine di circa 40mila unità nei prossimi anni. Il tutto scegliendo in modo dirigistico una tecnologia che tra 15 anni potrebbe non essere la più conveniente in assoluto e creando un nuovo monopolio artificiale, nel momento in cui ci si affida mani e piedi all’industria cinese, che è l’unica a disporre oggi della tecnologia e delle materie prime per la costruzione delle batterie, che poi saranno gentilmente lasciate a noi da smaltire. Non a caso, mentre le case continentali sono in affanno nelle consegne per mancanza di componenti, l’offerta di auto elettriche cinesi, grazie anche alle loro teste di ponte europee, si va facendo di giorno in giorno più massiccia.
In conclusione, posto che si tratta di obiettivi assolutamente condivisibili, volerli conseguire tutti e subito, senza andare troppo per il sottile anche in casi che meriterebbero una maggiore ponderazione, potrebbe sortire l’effetto, anche in conseguenza dei connessi enormi problemi finanziari, di mettere a rischio ciò che potrebbe essere realizzato dotandosi di una agenda maggiormente in grado di conciliare le aspirazioni con la realtà.

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