Beniamino Caravita

La festa del 2 giugno/ La nostra Costituzione e l'occasione di modificarla

di Beniamino Caravita
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Mercoledì 2 Giugno 2021, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 00:11

Il 2 giugno di 75 anni fa (e quindi ormai sono pochissimi gli italiani che ne hanno memoria attiva e tutti noi ci nutriamo di ricostruzioni storiche o dei ricordi dei nostri nonni e dei nostri genitori) si votò per il referendum istituzionale con cui si scelse tra Monarchia e Repubblica e per l’elezione dell’Assemblea Costituente: da sottolineare – sembra incredibile! - che per la prima volta parteciparono al voto le donne.

L’Italia si trovava allora ad uscire da una crisi drammatica, provocata dalla distruzione della guerra, così come oggi sta cercando di uscire dagli effetti della pandemia. 

Allora, come oggi, fu necessaria per la ripresa una grande iniezione di fondi, allora americani, oggi europei. Allora, come oggi, fu necessaria una grande unità di intenti delle forze politiche, pur nella divisione delle prospettive politiche, addirittura sulle fondamentali collocazioni economiche e sulle alleanze internazionali. Allora, come oggi, rottura e continuità furono le chiavi, gli strumenti, i “cacciavite” con cui affrontare una difficile transizione. 

Alla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, presidente del Consiglio di un governo tecnico-militare fu nominato il vecchio Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, che fu poi anche il presidente del Consiglio del primo governo che vide la partecipazione di tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, dopo il “Patto di Salerno”.
L’austro-ungarico (e quindi un po’ “tedesco”) De Gasperi fu il primo presidente del Consiglio nella fase della Assemblea Costituente, ma fu anche il presidente del primo governo senza comunisti e socialisti (e anche lui - come oggi Draghi - partecipò poco alle riflessioni sull’assetto costituzionale, che si svolgevano in seno all’Assemblea Costituente, preferendo dedicarsi alla ricostruzione del Paese). 

Nel referendum istituzionale la Repubblica ottenne il 54,26% dei voti favorevoli, oltre 12 milioni di voti, mentre la monarchia si fermò a poco meno del 46% dei voti per un totale di 10 milioni e 700 mila voti. Capo provvisorio dello Stato fu poi eletto il napoletano Enrico De Nicola, esponente della vecchia guardia liberale monarchica. Nello stesso giorno si votò anche per l’Assemblea costituente, che vide la vittoria di quei partiti che avevano preso parte alla fase del Cln, eredi di soggetti politici che erano nati subito prima, o immediatamente dopo, la prima guerra mondiale e che poi furono l’ossatura del sistema istituzionale italiano fino alla metà degli anni Novanta del secolo scorso. 

Il partito che ottenne il miglior risultato fu la Dc, con il 35% dei voti e 207 seggi; il secondo partito fu il Partito Socialista di Unità Proletaria (che poi nel 1947 si spaccò tra il Partito Socialista e il Partito Socialista dei lavoratori italiani), che ottenne il 20% dei voti e 115 seggi; il Pc ottenne il 19% dei voti e 104 seggi, poi i Liberali con 41 seggi, il Fronte “dell’uomo qualunque” (capitanato dal comico Guglielmo Giannini, il cui simbolo era un omino schiacciato da un torchio sopra un’incudine) ottenne 30 seggi, raggruppamenti monarchici vari ottennero 16 seggi, il Partito d’Azione 7 seggi, altre liste ne ottennero 12. 

Tutti questi partiti portarono in Assemblea costituente nomi importanti che poi contribuirono fortemente alla costruzione della Repubblica: si possono ricordare, per esempio, Andreotti, Scalfaro, Colombo; e ancora Moro, Togliatti, Nenni, Iotti, Basso, Covelli.

Un grande apporto alla redazione della Costituzione fu dato dal gruppo dei “professorini” democristiani (Dossetti, Moro, Fanfani) e da un ampio gruppo di costituzionalisti e di giuristi (Mortati, Tosato, Calamandrei, Leone).

Importante fu la presenza di uomini del periodo liberale prefascista (Einaudi, Nitti, Orlando, Croce). La Costituzione fu infine approvata con larghissima maggioranza (votarono contro solo gli esponenti monarchici, della destra e del Fronte dell’Uomo Qualunque) il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo dello Stato il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. 

Il risultato di quel lavoro fu un testo costituzionale di grande spessore politico e culturale, legato profondamente alla temperie di quegli anni difficili: un testo che, pur modificato dalla politica e interpretato dalla Corte costituzionale, ancora oggi utilizziamo, consapevoli dei suoi grandi meriti (i principi fondamentali, contenuti nei primi dodici articoli, hanno disegnato la struttura materiale del nostro vivere associato) e dei suoi limiti, derivanti da una struttura istituzionale che ha scontato i timori che le forze politiche nutrivano reciprocamente negli anni difficili del dopoguerra, sottovalutando il tema della stabilità di governo. 
Nel clima di unità che si sta creando, anche con l’opposizione, mettere le mani in maniera accorta e condivisa su alcuni passaggi del testo costituzionale (struttura del Parlamento, stabilità del Governo, poteri delle Regioni e raccordi con le autonomie) potrebbe essere un’occasione da non perdere nell’ultimo anno e mezzo della legislatura. 

Oggi viviamo una fase di transizione non diversa da quella di 75 anni fa: se la consapevolezza delle forze politiche sarà paragonabile a quella di chi ci guidò nel dopoguerra, ne potremmo uscire con altrettanto slancio e vigore, in una prospettiva di rilancio dell’Italia all’interno di un’Europa più forte e sovrana in un mondo inevitabilmente e inesorabilmente globale. 
 

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