Mario Ajello
Mario Ajello

Il senso del voto/Fine del sogno a sinistra e avvertenze per la destra

di Mario Ajello
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Martedì 29 Ottobre 2019, 00:00
Il sogno s’è infranto immediatamente e in maniera molto fragorosa. Era quello allestito in tandem da Pd e M5S, quello pomposamente battezzato “campo largo”, raffigurato nella foto di Narni dove sono risultate anche visivamente tutte le ambiguità dell’operazione, partorito da Grillo e condiviso nelle teorie bettiniane. Un’elucubrazione? Gli elettori umbri l’hanno intesa così e l’hanno bocciata con una nettezza e una larghezza impressionanti e che devono far ripensare dalle fondamenta l’indirizzo che le sinistre, in chiave dem e in chiave stellata, vogliono dare a se stesse.

Un voto locale? Gli elettori hanno additato ai dirigenti politici dei due partiti coinvolti tutte le fragilità e le astrattezze del generale patto rosso-giallo. E tra i tormenti dei 5 stelle c’è il dubbio amletico: abbiamo sbagliato a presentarci in Umbria? Avrebbero potuto, come in altre occasioni, per esempio in Sardegna, tenersi fuori dalla contesa, spiegando così la scelta: non abbiamo un radicamento organizzativo e territoriale, e dunque non partecipiamo anche perché non abbiamo mai governato questa regione e il giudizio che daranno gli elettori non riguarda la nostra condotta.

I grillini, in questo capolavoro di non lungimiranza politica, hanno voluto invece gettare il cuore oltre l’ostacolo e sono inciampati nell’ostacolo, ossia nell’impatto con la dura realtà. 

L’unione delle due sinistre ha prodotto una somma dei voti molto inferiore a quella che Pd e M5S avevano preso singolarmente.
E così l’esperimento d’alchimia, odoroso di politicismo e di neo-consociativismo, è scoppiato nelle mani dei suoi creatori ed è stato rigettato dai rispettivi elettorati. Forse anche a causa della sua scoperta natura ideologica e di quel substrato di antico frontismo e tardo quarantottismo - c’è un’”emergenza democratica”, cioè il centrodestra che tenta un ricambio che dovrebbe essere naturale dopo 50 anni di strapotere di sinistra - che ha portato dem e stellati a farsi muro. Se non fosse che proprio come un muro, di cartapesta, sono crollati per effetto della prima, energica, spinta.

S’è trattato della pretesa di trasformare una coalizione di governo nata da uno stato di necessità - traghettare il Paese oltre il Conte 1, fermando Salvini e non andando al voto - in un’alleanza organica, che diventasse non più di Palazzo ma di popolo. Il fatto che sia stata rifiutata proprio in una terra storicamente di sinistra rende il verdetto ancora più carico di significati e molto più doloroso.
Non ha funzionato proprio l’idea di mettere insieme il tradizionale notabilato dem e il classico sistema di potere di sinistra con ciò che resta dell’opinione pubblica di protesta di natura grillina. E adesso diventano difficili o assai improbabili altri tentativi del genere in altri territori e a livello nazionale. Questa fine del sogno delle due sinistre, ritrovatesi senza popolo, può valere come un’avvertenza per il centrodestra.

Ovvero: quanto più l’unione degli avversari si rivela incapace di intercettare bisogni e interessi dei cittadini, e lascia uno spazio vuoto fuori dai confini del centrodestra, tanto più questa parte politica deve essere capace di agire sulla zona di frontiera. Non radicalizzandosi in un messaggio identitario, ma aprendosi, dismettendo pose contundenti e divisive e assumendo una caratura larga. Quella che ha funzionato proprio in Umbria - e la scelta del candidato Donatella Tesei s’è rivelata azzeccata - ma non si è vista in molte delle mosse di Salvini degli ultimi anni. Basti pensare alla pretesa dell’autonomia differenziata, che ha reso la Lega invisa a una parte consistente del Paese.
La crisi delle sinistre, nel loro connubio flop, apre ora uno spazio sempre più grande per la ridefinizione del centrodestra e anche della fisionomia di Salvini come leader.

Pur nell’ebrezza del suo successo elettorale, il capo della Lega si sarà accorto in queste ore di avere sul collo il fiato della Meloni. La quale avendo capito i limiti dell’alleato - l’estrema tendenza spettacolare, il one man show, la facilità comunicativa non sempre coniugata alla profondità del messaggio - ha optato per un profilo di solidità della proposta, concentrato sull’aspetto produttivista e sulle istanze economiche e sociali. Un tipo di approccio che sembra funzionare anche in territori esterni alla destra, e perfino in quei ceti che hanno sempre scelto la sinistra.
Salvini è chiamato così a decidere su che cosa vuole fare da grande.

Se vuole essere un leader nazionale che sa aggregare, dovrà darsi un profilo più moderato e assai più attento agli interessi e ai bisogni di tutte le parti dell’Italia e non solo di alcune. Sennò, nel suo stesso campo, altre opzioni diventeranno sempre più possibili.

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