"E' un lusso che l'Italia al momento non può concedersi per un paio di motivi. Il primo motivo - spiega l'economista - è che la partita su questi 200 miliardi del Recovery Plan inizia quest'anno e finisce nel 2026 e passa attraverso il raggiungimento e superamento di oltre 500 step intermedi e il varo di circa 60 riforme strutturali".
"Già quest'anno l'Italia, per ottenere i 40 miliardi previsti dovrà varare 23 leggi ordinarie e 43 atti normativi, tutti propedeutici al Recovery Plan. Banalmente questo vuol dire approvare più di cinque atti al mese e non è affatto poco", ricorda Ferretti.
"Il secondo motivo che rende improbabile la nomina di Draghi al Colle - aggiunge Ferretti - è la possibilità che si creino nuove contese politiche ed elettorali in grado di impedire una corretta messa a terra del Recovery Plan". Una ipotesi che a parere dell'economista avrebbe due conseguenze: nella migliore delle ipotesi perderemmo la credibilità fino adesso acquisita a livello europeo e l'opportunità di contribuire attivamente, nel 2023, all'allentamento dei vincoli del Patto di stabilità; nella peggiore delle ipotesi, tutto il fardello del debito pubblico accumulato durante la pestilenza, oltre 2.700 miliardi, ci scoppierebbe in mano come un petardo".
"Allora la fine dei conti - ribadisce ferretti - è molto meglio che Mario Draghi rimanga esattamente dove sta, pensando alle sorti del Paese".
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