Guerra dei chip fra Usa e Cina: dalle manovre navali ai 20 miliardi di dollari che Biden darà al colosso Intel

Nuovi provvedimenti per sostenere i produttori interni di semiconduttori per svincolarsi sempre di più dal mercato asiatico

Guerra dei chip fra Usa e Cina: dalle manovre navali ai 20 miliardi di dollari che la Casa Bianca darà al colosso Intel
di Mario Landi
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Mercoledì 20 Marzo 2024, 15:29 - Ultimo aggiornamento: 3 Aprile, 11:17

Dalle colossali portaerei americane a propulsione nucleare, che manovrano al largo di Taiwan per far capire alla Cina che l'annessione dell'isola è ancora lontana, ai sempre più minuscoli e sempre più potenti chip che la storica azienda americana Intel produrrà in maniera crescente e accelerata grazia all'iniezione di 20 miliardi di dollari che Biden ha deciso di stanziare.

La guerra dei chip, necessari a ogni tipo di industria ancora più del petrolio, si combatte su più fronti è già oggi il  titolo Intel è salito del 3,4% nel premercato dopo che la Casa Bianca ha comunicato che la società tech riceverà fino a 8,5 miliardi di dollari in fondi diretti grazie al Chips Act, la legge voluta dall'amministrazione Biden per rafforzare la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti. Intel, inoltre, potrebbe ricevere fino a 11 miliardi di dollari in prestiti, secondo l'accordo preliminare con il dipartimento del Commercio. Oggi, il presidente Joe Biden andrà nella fabbrica di Intel che si trova a Chandler, in Arizona, per annunciare lo stanziamento dei fondi, che serviranno anche a costruire nuovi stabilimenti nello Stato e anche in Ohio, New Mexico e Oregon. L'Arizona è uno dei cosiddetti 'swing States', cioè gli Stati in bilico in cui si decideranno le prossime elezioni presidenziali. Intel si è già impegnata a investire 100 miliardi di dollari nella produzione di chip nei prossimi cinque anni. I fondi serviranno anche a creare fino a 30.000 posti di lavoro. 

Portaerei e chip

Intel è un colosso Usa che fattura oltre 80 miliardi di dollari ma sono da tempo tramontati i fasti del quasi monopolio mondiale che l'azienda di Santa Clara dettava meno di 30 anni fa: nel 1997 (ricordate l'ambitissimo era nelle sue mani l'87% del mercato dei semiconduttori che ora, nella stessa percentuale, "abita" a Taiwan facendo parecchio innervosire la Cina che sa bene che il futuro della propria economia dipende in gran parte dalla disponibilità di chip.

Se quelle schegge di silicio più piccoli di un'unghia non si trovano, il nostro attuale mondo in pratica si ferma. 

Taiwan e gli Usa sono alleati di ferro, con Washington sempre pronta a mostrare i muscoli con le flotte navali e quelle aeree e inoltre la Cina ha dovuto anche incassare più volte gli effetti della politica Usa che ha posto la Golden Share (il divieto di esportazione) nei confronti di Pechino per impedire che nelle silicon valley cinesi arrivino materie prime e tecnologie avanzate necessarie alla progettazione  e alla realizzazione dei chip.

L'amministrazione Biden - come riporta la Reuters - sta valutando la possibilità di inserire nella lista nera alcune aziende cinesi di semiconduttori legate a Huawei, ha riferito mercoledì Bloomberg News. Le società che potrebbero essere inserite nella lista nera includono i produttori di chip Qingdao Si'En, SwaySure e Shenzhen Pensun Technology Co, afferma il rapporto, aggiungendo che i funzionari statunitensi stanno anche valutando sanzioni contro il produttore di chip di memoria ChangXin Memory Technologies Inc.

Insomma, un fendente dopo l'altro dagli Usa contro la Cina, mentre sul fronte interno Washington rafforza la produzione dei chip da parte di aziende statunitensi perché lo scenario nel mar della Cina è tutto meno che rassicurante. 

Come si legge su agendadigitale.ue in un articolo scritto da Gabriele Iuvinale e Nicola Iuvinale: «La produzione dei chip si basa su catene di approvvigionamento specializzate e complesse, distribuite a livello globale. Al momento, il 90% della produzione globale dei chip più avanzati è localizzata a Taiwan, ma Pechino sta attuando una strategia globale per costruire un settore indigeno dei semiconduttori. I chip a semiconduttore sono un elemento centrale dell’economia digitale. Permettono il funzionamento di molti prodotti: dagli smartphone e dalle automobili alle applicazioni e alle infrastrutture critiche nei settori della sanità, dell’energia, delle comunicazioni e dell’automazione, fino alla maggior parte degli altri settori industriali. I chip, inoltre, sono essenziali per le tecnologie del futuro, quali l’intelligenza artificiale (IA) e le comunicazioni 5G/6G. Senza chip, il “digitale” non esiste».

Il ruolo della Cina

Come si legge ancora su agendadigitale.ue, la Cina resta al centro della delicata questione dei chip. La quota statunitense nella produzione globale di semiconduttori è scesa dal 37% nel 1990 al 12% nel 2019 e si prevede che diminuirà ulteriormente in assenza di una strategia globale a sostegno del settore. Anche l’Ue è vulnerabile perché sconta una elevata dipendenza da un numero limitato di fornitori esteri di chip.

Sin dagli anni Ottanta il governo centrale cinese ha cercato di costruire capacità locali per la produzione di chip. Lo ha fatto fornendo sostegno finanziario alle aziende cinesi, sostenute dallo spionaggio industriale e da pratiche commerciali predatorie. «Se la Cina competesse in modo equo e se i suoi obiettivi fossero commerciali anziché politici, i Paesi accetterebbero questa nuova competizione. Lo sforzo della Cina nei chip, tuttavia, è distorto dal suo obiettivo strategico di sostituire i fornitori occidentali come parte della sua ricerca di un ordine globale ristrutturato che le dia il dominio», ha detto James Andrew Lewis del Csis (Center for Strategic and International Studies).

Secondo gli esperti servirà ancora una decina d'anni perché la Cina colmi definitivamenete il gap tecnologico e quantitativo che la rende dipendente dalla stessa Taiwan.

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