Alberto Oliveti, presidente Enpam: «Mezzo miliardo di attivo: conti ok nonostante il boom di pensioni»

Il presidente dell’ente previdenziale: «bene gli investimenti, non chiederemo contributi allo stato, ma meno tasse»

Alberto Oliveti, presidente Enpam: «Mezzo miliardo di attivo: conti ok nonostante il boom di pensioni»
di Giacomo Andreoli
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Domenica 21 Aprile 2024, 08:00

Sempre più pensionati, con poco ricambio di giovani medici, ma anche investimenti che fruttano sul mercato, compensando le prestazioni in aumento. È questo l'equilibrio «virtuoso» che ha permesso all'Enpam, l'ente previdenziale di medici e dentisti, di chiudere il 2023 con un avanzo di 538 milioni. Nonostante, come spiega il presidente Alberto Oliveti, negli ultimi dieci anni ci sia stato un vero e proprio boom di uscite nel settore. Senza una contemporanea «pianificazione e programmazione sanitaria» sufficiente. Un equilibrio che «molto probabilmente si manterrà», ma con la richiesta di ridurre le tasse sugli investimenti.

Avete chiuso l'anno in positivo, ma dovete pagare sempre più pensioni e c'è poco ricambio: come avete fatto?

«La situazione non è facile. Pensi che il numero dei pensionamenti annui è triplicato rispetto a un decennio fa, con il boom di uscite dei cosiddetti “baby boomers”. Nell'ultimo anno è aumentato ancora del 9%. Nel frattempo è evidente che c'è stata una scarsa pianificazione e programmazione sanitaria, oltre che un insufficiente finanziamento pubblico. Questo ha determinato poco ricambio. Ma per la prima volta da dieci anni nel 2023 il numero di nuovi pensionati è stato leggermente inferiore a quelli dell'anno precedente (-3%). Nel frattempo abbiamo un equilibrio virtuoso grazie agli investimenti, che nel 2023 sono andati bene, dopo un 2022 difficile. Quelli patrimoniali ci hanno permesso di incassare 404 milioni in più e il patrimonio netto è salito a 25,9 miliardi».

Siete riusciti a fare anche investimenti nella sanità e nella ricerca scientifica. Non ci avete guadagnato, ma avete provato a compensare le carenze pubbliche?

«Non possiamo assumere un ruolo che non ci spetta e che non potremmo soddisfare. Visto lo squilibrio tra pensionati e nuovi lavoratori dobbiamo cercare nei mercati il finanziamento alle prestazioni che garantiamo. Se però riusciamo anche a generare valore economico per le attività dei nostro professionisti abbiamo fatto bingo. Così facciamo sì che il flusso contributivo si mantenga o possa aumentare.

Al calo degli ingressi contributivi contribuisce anche lo stipendio dei medici italiani, più basso di quello dei colleghi europei?

«I nostri medici sono pagati meno e non a caso molti laureati se ne vanno all'estero.

In più dobbiamo riconoscere l'inflazione alle prestazioni e incassiamo poco da una relativa penuria di medici che sul territorio esercitano lavoro autonomo, anche perché le famiglie posticipano sempre di più la prevenzione. Non solo: hanno difficoltà su visite e terapie, viste le lunghe liste d'attesa».

Riuscirete a mantenere questo equilibrio anche in futuro, senza aiuti dallo Stato?

«Molto probabilmente: vogliamo essere neutri dal punto di vista dei contributi pubblici. Certo, diamo 150 milioni alla fiscalità generale. Il patto con lo Stato era: nulla è dovuto purché continuiamo a garantire il servizio. Ma questo è un servizio pubblico e sulle pensioni già si pagano le tasse. Gli investimenti andrebbero defiscalizzati, facendoci pagare meno tasse (oggi arrivano fino al 26%)».

Cosa ne pensa del mandare in pensione i medici a 72 anni in cambio di benefici sugli assegni futuri, come è stato deciso nell'ultimo decreto Milleproroghe?

«È una soluzione cerotto, ma intelligente. Mentre formiamo professionisti all'altezza, bisogna tenere i medici al lavoro, altrimenti rischiamo i vuoti tra ospedali e medici di base».

Per i sindacati servirebbero più fondi per ridurre le liste d'attesa, oltre a 25-50mila assunzioni.

«Senza dubbio. Il blocco delle assunzioni del 2004 con il tetto al personale ha creato enormi problemi. C'è poi il fenomeno dei medici gettonisti che di certo non aiuta. Il Pnrr è un aiuto importante, ma temporaneo. Serve un nuovo piano sanitario e con gli investimenti siamo in lieve calo rispetto al Pil. Certo, un grosso sostegno per ridurre burocrazia e tempi di attesa, può arrivare anche dall'intelligenza artificiale e dai nuovi sviluppi della telemedicina, ma l'interconnessione del Paese va migliorata».

Il vostro secondo pilastro è la previdenza complementare. Va incentivata di più per aumentare gli assegni?

«I nostri costi di gestione sono bassi e i risultati sono positivi. Poi certo, la redditività dipende dall'investimento, ma anche i vantaggi fiscali sono importanti. Per incentivare questa forma di previdenza si potrebbero aumentare, ma così si riducono le entrate per lo Stato. E in questo momento trovare le coperture non è facile. C'è anche da dire che i cittadini tendono a consumare i capitali prima della pensione».

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