Imprese, con l'export al 44% del pil la ricchezza aumenta di 125 miliardi

Imprese, con l'export al 44% del pil la ricchezza aumenta di 125 miliardi
di Carola Carbonari e Rosario Dimito
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Lunedì 1 Dicembre 2014, 08:59 - Ultimo aggiornamento: 4 Dicembre, 09:11
L’impatto che gli ultimi anni hanno prodotto sull’economia è stato pesantissimo ed è paragonabile quasi a quello di una guerra. In poco tempo per molti, anzi tantissimi, sono svanite certezze e progetti, lo stile e il tenore di vita è cambiato. Il processo economico ha rapidamente trasformato la società rendendola purtroppo sempre più vulnerabile. Einstein diceva che: «la crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progresso. La creatività nasce dall’angoscia ed è nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Senza crisi non ci sono sfide. La vera crisi è nell’incompetenza e nella pigrizia nel cercare soluzioni o vie d’uscita…». Era il 1931, era Albert Einstein ne “Il mondo come io lo vedo”. E lui il mondo lo vedeva così, diversamente da noi sottomessi all’utopia della sicurezza dove il fine non è più raggiungere qualcosa di buono ma solo di evitare il peggio. Ma lasciamoci ispirare positivamente da Einstein e cerchiamo di credere con forza che gli effetti di questa depressione si risolvono guardando avanti. E per l’Italia crescere è guardare oltre confine. Secondo un’analisi del centro studi di Sace se riuscissimo a raggiungere nel 2018 un’incidenza dell’export sul Pil del 44% si genererebbero esportazioni aggiuntive per quasi 40 miliardi di euro l’anno, con un incremento di reddito nazionale, fra quattro anni, intorno ai 125 miliardi di euro e pari a una crescita del 9% rispetto al Pil attuale. E considerando l’elasticità dell’occupazione rispetto al Pil, questo impatto si tradurrebbe in 1,8 milioni di nuovi posti di lavoro. Sfruttando la leva dell’export potremmo tornare a una situazione pre-crisi. I 40 miliardi di export in più dovrebbero essere un traguardo raggiungibile, se si considera che equivalgono più o meno a quanto esportiamo attualmente in Francia. Secondo le stime di Sace, circa la metà di questo maggior export potrebbe essere recuperato nei mercati emergenti a basso-medio rischio e alta crescita. Circa 13 miliardi attraverso una penetrazione di 5 paesi: Cina, Polonia, Algeria, Turchia e India. Altri 6 miliardi in una rosa di geografie in Medio Oriente(Emirati Arabi, Arabia Saudita, Kuwait), in Sud America (Messico e Brasile), in Asia (Corea del Sud, Repubbliche del Caucaso, Vietnam), ma anche in Tunisia, unico paese ancora ragionevolmente tranquillo sulle sponde del Mediterraneo. Le maggiori nazioni europee hanno saputo sfruttare in modo positivo la leva dell’export anche nel corso della crisi ma l’Italia, seppur dinamica in alcune zone del Paese e soprattutto nel Nord-Est, non ha saputo fare altrettanto. E’ pur vero che non si vive di solo export ma senza ormai si muore. Germania e Spagna, in particolare hanno ulteriormente accelerato la loro presenza nei mercati esteri nei sei anni trascorsi e continueranno in futuro ad allungare le distanze. Nel 2017 la Germania raggiungerà un’incidenza dell’export sul Pil del 58% (25 punti percentuali più dell’Italia), la Spagna del 41% (+8 punti percentuali). Con questo non stiamo dicendo che l’Italia non sia un paese che esporta, ma rimane ancora troppo poco internazionalizzato. E internazionalizzare è investire all’estero, aprire nuove filiali per le aziende, svolgere attività di promozione: tutte operazioni che incidono sull’aumento dell’export. L’internazionalizzazione produttiva attiva delle aziende italiane resta più bassa di quelle dei principali paesi europei per cause che variano da impedimenti che scaturiscono dall’impresa stessa come le dimensioni ridotte, la struttura organizzativa inadeguata, le insufficienti informazioni sul paese estero o da vincoli finanziari. Le motivazioni e i fini perseguiti dalle imprese italiane che si sono internazionalizzate variano in funzione del settore, del paese oggetto dell’investimento e del periodo considerato. Le strategie di accesso ai mercati di sbocco sono la motivazione prevalente del produrre all’estero, mentre nel caso degli investimenti in paesi emergenti e in via di sviluppo diventa importante anche il fattore della riduzione dei costi. E comunque l’internazionalizzazione è un processo di crescita aziendale che ne comporta una profonda trasformazione organizzativa. Sul sito della Farnesina è nata la sezione Infomercatiesteri.it: una piattaforma ideata per soddisfare la richiesta di informazioni sui mercati esteri proveniente dagli operatori economici nazionali, un ricco strumento per le scelte di internazionalizzazione fruibile seguendo alternativamente due percorsi. Scegliendo il percorso geografico, per ogni Paese si possono ottenere informazioni su opportunità di mercato, possibilità di partnership, outlook economico e politico, ostacoli agli scambi e possibili rischi, in alternativa si può scegliere la modalità di accesso settoriale con la quale si acquisiscono informazioni sul settore prescelto e suggerimenti su tutti quei Paesi che potrebbero esserne più interessati nello specifico. Internazionalizzare è la chiave per guardare oltre, per lo sviluppo e per la crescita delle imprese. Ma non dimentichiamo che pur avendo la volontà di vendere e investire all’estero e di conoscere dove è meglio vendere ed investire, la qualità dei nostri prodotti deve restare ed essere altamente competitiva e innovativa.