Augusto, l'uomo che fece Roma: a duemila anni dalla sua morte mostra alle Scuderie del Quirinale

Augusto, l'uomo che fece Roma: a duemila anni dalla sua morte mostra alle Scuderie del Quirinale
di Fabio Isman
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Venerdì 11 Ottobre 2013, 09:22

Ha restaurato ottantadue templi, sostituendo al nome degli antichi dedicatari il suo, o quello dei suoi; ha mutato il volto di Campo Marzo, con la sua grande meridiana e un rifacimento urbanistico; ha promulgato riforme quanto pochi altri mai; ha incarnato a lungo l’ideale della Romanità. Ma adesso, che «non è più possibile espiantare dalla storia dell’Urbe figure simboliche e valori utili alla politica, alle guerre e alle ideologie» come fece ad esempio Mussolini, racconta Andrea Giardina, dopo quella del bimillenario dalla nascita nel 1937, si può pensare a una grande mostra che di Augusto (63 a.C. - 14 d.C.: il più duraturo principato nella Roma imperiale) solennizzi i duemila anni dalla morte.

STATUE E PREZIOSI

Sarà il grande evento delle Scuderie del Quirinale, che alternano i famosi maestri della pittura all’archeologia somma, dal 18 ottobre al 9 febbraio: con 200 opere ordinate da Eugenio La Rocca (cat. Electa), insieme a Claudio Parisi Presicce ed altri, in collaborazione con il Louvre e i musei francesi.

Vedremo per la prima volta assieme le sue grandi statue: da quella di Prima Porta dei Vaticani (nel Ventennio, fu usata per un saluto fascista: anche su un francobollo; una copia in bronzo fu posta nel 1932 a via dell’Impero, ora dei Fori Imperiali), al «Doriforo» di Napoli; a lui come Pontefice Massimo, da via Labicana, che è a Palazzo Massimo; ad una scultura equestre in bronzo (proveniente da Atene e mai in Italia) trovata nell’Egeo, e di cui resta una parte; allo splendido ritratto bronzeo del British.

Vedremo il gruppo dei Niobidi, originale greco posto negli Horti Sallustiani, oggi spartito tra Roma e Copenhagen; una buona parte degli argenti di Boscoreale (dal Louvre), con i cammei di Vienna, Londra e del Metropolitan. E anche l’inedito: 11 rilievi, ora divisi tra Spagna e Ungheria; decoravano un monumento campano, e narravano la sua decisiva battaglia di Azio.

Svetonio racconta che, avanti negli anni, Augusto avrebbe spiegato di aver ricevuto una Roma di mattoni, e di averla lasciata di marmo. In effetti, l’Urbe era città arcaica: «Strade strette e tortuose; edifici per abitazione alti e angusti, privi di luce; e quelli pubblici ancora secondo la vecchia tradizione tuscanica: molto legno e terracotta», come ricorda La Rocca; non poteva rappresentare la capitale di un vastissimo impero.

Per primo, interviene Cesare; e ne comincia a mutare il volto. Demolisce templi per un teatro, che Augusto ultimerà, dedicato al nipote Marcello. Augusto pensa a metterla al sicuro: per le piene, nomina anche un «curator alvei», come un magistrato alle acque; interviene in centro, cambiando faccia a Campo Marzio; nei Fori. Nasce una classicità tutta sua: è tra i portati che ha lasciato. E nelle riforme, coinvolge la popolazione: i 265 «Vici» in cui la città era divisa erano direttamente da lei gestiti.

L’ARTE

Ancora La Rocca: «Roma augustea era un crogiolo di scuole e ambienti artistici, che si sono studiati e confrontati. Mai prima si era posta, con vigore, l’esigenza di un linguaggio artistico comune, per un impero con tante ambizioni». Degli artisti rodii erano già nell’Urbe nell’età repubblicana, se non prima; una componente ellenistica è presente nell’arte dell’età di Augusto: lo si vede da tanti capolavori, anche esposti alle Scuderie. Estirpa l’arte greca dal contesto, e la adotta: i fregi a palmette e fiori di loto per la sala del Colosso nel Foro di Augusto, e per l’Ara Pacis; al suo Foro vuole le Korai dell’Eretteo; non sei, ma di più, ad altezza non di uomo ma di 10 metri, tutte copie di due soli esemplari, la prima scultura in serie. La sua effigie di Prima Porta, replica il celebre Doriforo di Policleto.

L’età di Augusto è la svolta di Roma: il suo passaggio dal tempo arcaico e repubblicano, al principato. Le sue riforme resteranno sovente importanti nei tre secoli successivi. La mostra del 1937, quando non si viaggiava come oggi, ebbe un milione di visitatori; tramandava l’idea di un impero, pur se per scopi politici ed attualizzati. A Bolzano, si stava per sostituire con una copia bronzea di Druso la statua di Walther von der Vogelweide: in extremis, il duce disse no. Ancora oggi, un’indagine su internet del 2009 rivela che le parole «America come una nuova Roma» hanno raccolto ben 22 milioni di utenti. E la Roma di cui si parla, ovviamente, è proprio quella di Augusto: l’unità dell’impero, la pace, il benessere più diffuso, la collaborazione di forze tra loro anche assai eterogenee. Nelle opere in mostra alle Scuderie se ne vede assai più che una semplice e banale eco.

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