Jack London e i racconti di vita randagia Un orizzonte sull'universo dei vagabondi

Tavola di Fabian Negrin per L'ombra e il bagliore di Jack London
di Fiorella Iannucci
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Mercoledì 24 Febbraio 2010, 14:04 - Ultimo aggiornamento: 25 Marzo, 23:15
ROMA (24 febbraio) - Nessuno, pi di Jack London, sa aprire orizzonti. Con quel suo stile asciutto, da cronista dell’Avventura, capace di indagare con una frase, attraverso un particolare, i rapporti profondi tra uomo e natura, uomo e animale, uomo e uomo. Ed è sempre un legame atavico a far risplendere la sua prosa ardita: lo stesso che costringe Buck, il cane scaraventato dal tranquillo salotto di un giudice californiano ai ghiacci dell’Alaska, a compiere a ritroso il cammino dell’evoluzione per riunirsi ai “fratelli selvaggi”.



Stiamo parlando de Il richiamo della foresta (1903), il romanzo che cambiò la vita del suo autore, destinato a diventare lo scrittore più prolifico (oltre 50 volumi nella sua breve esistenza: morì a 40 anni), famoso e meglio retribuito del suo tempo. Eppure, nemmeno un decennio prima, un giovanissimo Jack London vestito di stracci e con le vesciche ai piedi («otto e altre ne stanno spuntando» annota) era solo un hobo, uno delle migliaia di vagabondi, diseredati, senzatetto, che si spostavano da una costa all’altra degli Stati Uniti salendo da clandestini sui treni.



Il popolo miserabile delle ferrovie, un esercito di nullatenenti deciso a marciare su Washington per chiedere quel lavoro che la crisi economica del 1894 una tra le più gravi della storia degli Usa, ma non l’ultima gli aveva tolto. Un’esperienza, quella del diciottenne Jack, che ne segnerà la vita. È per questo che appare tanto più prezioso il Diario di un vagabondo, inedito in Italia, che spicca in una antologia di scritti dello scrittore californiano, appena pubblicata da Castelvecchi (La strada, traduzione e cura di Davide Sapienza, 261 pagine, 16 euro), interamente dedicati all’universo hobo.



E a quella Vagabonlandia (il termine è di London) che come nota Sapienza nell’introduzione «sarebbe diventata importante decenni dopo nella poetica di scrittori diversi tra loro come John Steinbeck e George Orwell... ma anche traslato in triste edonismo autodistruttivo nella beat generation. Il tanto celebrato On The Road di Kerouac, arriverà solo nel 1957». Precoce in tutto, London. E coerente. Votato, sempre, a sperimentare sulla propria pelle quello che ha consegnato, nei romanzi, nei suoi saggi pungenti e profetici, ai lettori.



Negli scarni appunti del Diario, che vanno dal 6 aprile al 31 maggio 1894, ci sono in sintesi quelle straordinarie e dure “cronache” americane pubblicate tra il 1906 e il 1907 su Cosmopolitan, raccolte poi in La strada. C’è l’epopea dello sgangherato Esercito industriale del generale Kelly, «in sella a un bel cavallo nero», nelle pagine del Diario. Straccioni di ogni stato dell’Unione, organizzati in “reggimento e compagnie” «nella quale marcio annota London nell’ultima fila della retroguardia». Soldati senza scarpe e senza divisa, che si muovono su convogli “requisiti” e barconi, costruiti all’istante sulla sponda del fiume.



Hoboes, di volta in volta accolti e sfamati, temuti e respinti, dagli abitanti della sterminata provincia americana. In questi appunti quotidiani c’è l’orgoglio dei vagabondi, capaci, come Jack, di “domare” un transcontinentale come se fosse un cavallo imbizzarrito. Di viaggiare sopra il tetto o sotto il pavimento di una carrozza passeggeri, oppure sui suoi “respingenti”, e di saltare in corsa su una “cieca”, vagone postale chiuso su due lati, dunque perfetto per un clandestino. Sempre evitando di essere “affossato”, cioè buttato giù da frenatori e controllori. O, peggio, acciuffato dai poliziotti.



C’è la fame, certo, e la fatica di una vita randagia, negli scritti di London raccolti in questa preziosa antologia “tematica” (oltre ai nove racconti di La strada, e il Diario, ci sono Il vagabondo, del 1901, tra i suoi articoli più osteggiati, Come sono diventato socialista, del 1903, e il visionario La principessa, pubblicato postumo nel 1918, due anni dopo la morte dello scrittore). Ci sono poliziotti arrabbiati e giudici con i loro processi farsa che indignano il futuro scrittore, finito comunque in prigione per vagabondaggio (Pizzicato). Ci sono molte porte chiuse, in questi scritti, ma anche quelle che si aprono, accogliendo. Nel linguaggio degli hoboes è «il trattamento»: che Jack ripaga sempre offrendo le sue storie («A loro donai un intrattenimento regale. Il mio arrivo a quella tavola fu la loro avventura, e l’avventura non ha prezzo», scrive).



Ed è qui che comincia il suo destino di scrittore. «Ho spesso pensato confessa che proprio da questo allenamento dei miei giorni da vagabondo arriva il mio successo come autore di racconti. Per poter ottenere il cibo che mi faceva sopravvivere, ero costretto a raccontare storie che suonassero vere». E ancora: «Un hobo di successo deve essere un artista». Ma a Vagabolandia, per London, c’è molto di più. Ci sono la forza e l’allegria della sua giovinezza, quel sentirsi invincibile, il donarsi senza risparmio e senza calcolo. Soprattutto, ci sono loro: i “fratelli”, i compagni strada, i vagabondi.



Ed è una dichiarazione d’amore quella che London scrive in queste pagine («Su un poveraccio puoi sempre fare affidamento. Non respingono mai chi è affamato», si legge nella Strada. E nel Diario annota velocemente: «L’onestà della grande maggioranza degli hobo e il loro buon cuore»). Sì, London conosce «la gioia dei capricci del Caso» e il brivido della Sfida. La stessa che oppone Paul e Lloyd, protagonisti di L’ombra e il bagliore, uno dei racconti più visionari dello scrittore, riproposto ora da Orecchio acerbo dopo anni di assenza in libreria (era apparso in Le morti concentriche, a cura di Borges, edito da Franco Maria Ricci nel 1975).



Un volume speciale, fiore all’occhiello della casa editrice romana per la prossima Fiera del libro per ragazzi di Bologna, realizzato con carte particolari, pagine bucate, sofisticati giochi di trasparenze. Soprattutto, illustrato superbamente da Fabian Negrin (traduzione di Giorgia Grilli, postfazione di Goffredo Fofi, 25 euro: uscirà domani). Un libro che, proprio come La strada, svela il London meno noto e più prezioso. L’ombra e il bagliore narra la storia di due amici che «erano uno la copia dell’altro, in tutto eccetto il colore. Gli occhi di Lloyd erano neri; quelli di Paul erano blu».



Amici geniali, destinati a rivaleggiare fino alle estreme conseguenze. E se le chimere nate nei loro laboratori assomigliano agli incubi della scienza moderna, incapace di porsi un limite, non meravigliatevi. Nessuno, più di London, sa donare orizzonti.
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