Coelho, le radici della felicità
Esce il nuovo romanzo dello scrittore

Coelho, le radici della felicità Esce il nuovo romanzo dello scrittore
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Mercoledì 21 Settembre 2011, 13:39 - Ultimo aggiornamento: 23 Settembre, 12:38
E’ da oggi in libreria il nuovo romanzo di Paulo Coelho Aleph (Bompiani, 282 pagine, 18,50 euro, traduzione di Rita Desti ). Nel libro lo scrittore torna con un viaggio alla scoperta di s. Come Santiago, il pastore
dell’«Alchimista», anche Paulo sta affrontando una profonda crisi e cerca una rinascita spirituale. Così intraprende un percorso che lo condurrà attraverso Africa, Europa e Asia lungo la Transiberiana. Incontrerà Hilal, una giovane violinista che ha amato e tradito 500 anni prima. Insieme inizieranno un viaggio mistico che li porterà più vicino all’amore, al perdono e al coraggio. Da «Aleph», anticipiamo alcune pagine del capitolo iniziale.





di Paulo Coelho



No!

Di nuovo un rituale? Di nuovo invocare le forze invisibili affi nché si manifestino nel mondo visibile? Cos’ha a che vedere tutto ciò con il mondo nel quale oggi viviamo? I giovani escono dall’università e non trovano lavoro.

I vecchi raggiungono l’età della pensione senza avere denaro sufficiente per vivere dignitosamente. Gli adulti non hanno tempo per sognare – dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio lottano per mantenere la famiglia, per pagare le rette scolastiche dei figli, affrontando le innumerevoli fatiche che conosciamo e che si riassumono nell’espressione “la dura realtà”.

Il mondo non è si mai presentato diviso come ora: guerre di religione, genocidi, crisi economiche, recessione, povertà, mancanza di rispetto per il pianeta. E tutti vogliono vedere immediatamente risolti perlomeno alcuni dei problemi che affliggono l’umanità o la propria vita personale.

Ma l’orizzonte appare sempre più buio a mano a mano che avanziamo verso il futuro.

E io dovrei proseguire in una tradizione spirituale le cui radici affondano in un passato remoto, lontano da tutte le sfide del presente?

* * *

Insieme con J. – che, sebbene cominci a nutrire qualche dubbio, considero il mio Maestro – cammino verso la quercia sacra, la quale da oltre cinquecento anni contempla impassibile le angosce umane, con l’unica preoccupazione di lasciar cadere le foglie all’inizio dell’inverno

e offrirne di nuove in primavera.

Sono davvero stufo di scrivere del mio rapporto con J., la mia guida nella Tradizione. Conservo decine di diari fitti di annotazioni riguardo alle nostre conversazioni – scritti che non ho mai riletto.

Dall’epoca della nostra conoscenza ad Amsterdam, nel 1982, ho imparato e disimparato a vivere un centinaio di volte. Quando J. m’insegna qualcosa di nuovo, penso che forse quello è proprio il passo che manca per arrivare alla vetta della montagna, la nota che giustifica un’intera sinfonia, la lettera che riassume l’intero libro. Vivo un periodo di euforia che poi, a poco a poco, svanisce.

Anche se talune cose rimangono per sempre, la maggior parte degli esercizi, delle pratiche, degli insegnamenti finisce per scomparire in un buco nero. O almeno così sembra.

* * *

Il terreno è bagnato, e così penso che le mie scarpe da ginnastica accuratamente lavate due giorni prima saranno nuovamente imbrattate di fango dopo pochi passi – e questo nonostante l’attenzione che riservo al cammino.

La ricerca della saggezza, della pace dello spirito e della consapevolezza della realtà visibile e invisibile si è ormai trasformata in una routine priva di risultati. A ventidue anni, cominciai il mio apprendistato nella magia. Sperimentai diversi cammini, sfiorai l’orlo dell’abisso in un’età importante e difficile, scivolai e caddi, desistetti e poi ricominciai. Immaginavo che, arrivato a cinquantanove anni, mi sarei ritrovato in prossimità del paradiso e della tranquillità assoluta, quella che mi sembra di cogliere nel sorriso dei monaci buddisti.

Al contrario, credo di essere assai lontano da quell’obiettivo. Non mi sento mai davvero in pace; ogni tanto ingaggio grandi conflitti con me stesso, lotte che possono protrarsi per mesi. E gli intervalli in cui m’immergo nella percezione di una realtà magica durano soltanto pochi secondi.

Sufficienti per comprendere che quest’altro mondo esiste, e per avvertire la frustrazione di non riuscire ad assimilare tutto ciò che apprendo.

Siamo arrivati.

Non appena il rituale sarà terminato, gli parlerò seriamente.

Entrambi premiamo le mani contro il tronco della quercia sacra.

* * *

J. recita una preghiera sufi :

“O Dio, allorché presto attenzione alle voci degli animali, al fruscio degli alberi, al mormorio delle acque, al cinguettio degli uccelli, al sibilo del vento o al fragore del tuono, percepisco

in essi una testimonianza della Tua unità: io comprendo che Tu sei l’onniscienza, il supremo potere, la somma saggezza, la superna giustizia.

“O Dio, io Ti riconosco nelle prove che sto affrontando. Acconsenti, o mio Signore, che la Tua soddisfazione sia la mia soddisfazione. Che io sia la Tua gioia: quella gioia che un Padre avverte per un figlio. E che io rivolga il mio pensiero a Te con serenità e determinazione, anche quando mi sarà difficile dire che Ti amo.”

Di solito, in un momento del genere avrei percepito – per una frazione di secondo, un tempo comunque sufficiente – la Presenza Unica che muove il Sole e la Terra e mantiene le stelle alte nel cielo. Oggi, però, non ho alcuna voglia di parlare con l’Universo: è sufficiente che l’uomo

al mio fianco mi dia le risposte di cui ho bisogno.

* * *

Lui ritrae le mani dal tronco della quercia, e io lo imito. Mi sorride, e io ricambio il sorriso. In silenzio e con passo tranquillo, ci avviamo verso la mia casa. Ci sediamo in terrazza e prendiamo un caffè, ancora senza parlare.

Contemplo il gigantesco albero al centro del giardino: ho cinto il tronco con un nastro dopo un sogno. Abito nel paese di Saint Martin, nei Pirenei francesi, in una casa che sono pentito di aver comprato: ha finito per possedermi, richiede la mia presenza assidua – ha bisogno di qualcuno che se ne occupi, per mantenere viva la propria energia.

“Non riesco più a progredire,” dico. E, come sempre, cado nella trappola di essere il primo a parlare. “Penso di aver raggiunto il mio limite.”

“Interessante. Io ho sempre tentato di scoprire i miei limiti, eppure finora non ci sono riuscito. Il mio universo non è particolarmente collaborativo: seguita a crescere e non mi aiuta a conoscerlo appieno,” replica J., in modo provocatorio.

Si affida all’ironia. Ma io proseguo.

“Cosa sei venuto a fare qui, oggi? A tentare di convincermi che sto sbagliando, come sempre? Di’ quello che vuoi, ma sappi che le tue parole non cambieranno la situazione.

Non sto bene. Sono a disagio.”

“È proprio per questo che sono venuto qui, oggi. Da tempo, intuivo ciò che stava accadendo. Tuttavia esiste sempre un momento preciso per agire,” dice J., prendendo una pera dal tavolo e rigirandosela fra le mani. “Se ne avessimo parlato prima, non saresti stato ancora pronto… ‘maturo’. Se avessimo aspettato a parlarne, saresti stato ormai esausto… ‘marcio’.” Dà un morso al frutto, assaporando il gusto della polpa. “Perfetto. Questo è il momento giusto.”

“Sono assalito da molti dubbi. E quelli più importanti riguardano la fede,” affermo.

“Un’ottima cosa: è il dubbio che fa avanzare l’uomo nel suo cammino.”

Come sempre, risposte e immagini azzeccate che, tuttavia, oggi non funzionano.

“Voglio spiegarti che cosa senti,” continua J. “Che tutto ciò che hai appreso non ha messo radici. Che sai penetrare nell’universo magico, ma non riesci ad abbandonarti a esso. Che forse si tratta soltanto di una grande fantasia che l’uomo ha creato per scacciare la paura della morte.”

I miei interrogativi sono più profondi: riguardano la fede. Ho un’unica certezza: esiste un universo parallelo, spirituale, che interferisce nel mondo in cui viviamo. A parte questo, tutto il resto – libri sacri, rivelazioni, guide, manuali, cerimonie – mi sembra assurdo. E, peggio ancora, senza alcun effetto tangibile e duraturo.

“Voglio raccontarti che cosa ho provato io,” prosegue J. “Durante la giovinezza, ero affascinato da tutte le cose che la vita poteva offrirmi, e credevo di essere capace di conquistarle una dopo l’altra. Con le nozze, ho dovuto scegliere un solo cammino, perché avevo l’obbligo di mantenere la donna che amo e la nostra prole. A quarantacinque anni, quando ero ormai divenuto un dirigente di

successo, ho visto i miei fi gli cresciuti andarsene da casa e ho pensato che, da quel momento, tutto sarebbe stato solo una ripetizione di ciò che avevo già sperimentato.

“Ecco, la mia ricerca spirituale è iniziata lì. Poiché sono un uomo che crede nella disciplina, mi sono dedicato a essa con ogni energia. Ho attraversato periodi di entusiasmo e di incredulità, finché mi sono ritrovato di fronte a ciò che tu stai vivendo oggi.”

“Malgrado tutti i miei sforzi, J., non riesco nemmeno a pensare: ‘Mi sento più vicino a Dio e a me stesso,’” replico, con una certa esasperazione.

“E questo accade perché, come tutti gli esseri umani del pianeta, eri convinto che il tempo ti avrebbe insegnato il modo di avvicinarti a Dio. Ma il tempo non insegna affatto: ci offre soltanto la sensazione della stanchezza, dell’invecchiamento.”

Adesso era come se la quercia mi stesse fissando. Probabilmente aveva più di quattro secoli, eppure aveva imparato una sola cosa: restare immobile nel terreno, nel

medesimo posto.

“Perché siamo venuti a compiere un rituale nei pressi della quercia? Come può aiutarci a diventare uomini migliori, una simile pratica?”

“Per il semplice fatto che gli esseri umani non compiono più rituali vicino alle querce. In poche parole, agendo in un modo che può sembrare assurdo, è possibile raggiungere

le profondità della propria anima, la sua parte più antica, quella prossima all’origine di ogni cosa.”

Una sacrosanta verità. Quando gli domando una spiegazione, ricevo la risposta che mi aspettavo. Devo approfittare di ogni minuto accanto a lui.

“È ora di andare,” dice J., bruscamente.

Guardo l’orologio. Gli spiego che l’aeroporto è poco distante: potremmo continuare a chiacchierare ancora per qualche momento.

“Non è a questo che mi riferisco. Quando mi sono trovato ad affrontare ciò che stai vivendo tu, ho trovato la risposta in qualcosa che era accaduto prima della mia nascita.

È un’esperienza che ti suggerisco di fare.”

Reincarnazione? J. mi aveva sempre invitato a frequentare le mie vite precedenti.

“Sono già tornato nel mio passato. È una cosa che ho imparato a fare prima di conoscerti. Ne abbiamo già parlato.

Ho preso coscienza di due incarnazioni: uno scrittore francese del XIX secolo e un...”

“Sì, lo so.”

“Ho commesso errori ai quali mi è stato impossibile rimediare. Poi tu mi hai detto di non tornare più indietro, perché questo avrebbe solo accresciuto i miei sensi di colpa. Rivisitare le vite passate è come aprire un buco nel suolo e lasciare che il fuoco sottostante incendi il presente.”

J. lancia gli avanzi della pera agli uccelli del giardino e mi guarda, irritato:

“Non dire sciocchezze, per favore. Non cercare di convincermi della verità delle tue affermazioni e del fatto che non hai imparato niente nei ventiquattro anni che abbiamo trascorso insieme.”

Sì, adesso so di cosa sta parlando. Nella magia – e nella vita – esiste soltanto il momento presente, l’ORA. Non si misura il tempo come si calcola la distanza tra due punti.

Il “tempo” non passa. L’essere umano ha una difficoltà enorme a concentrarsi sul presente: pensa sempre a ciò che ha fatto, al modo in cui avrebbe potuto farlo meglio, alle conseguenze delle proprie azioni, al motivo per cui non è riuscito ad agire in maniera davvero appropriata.

Oppure si preoccupa del futuro, di cosa farà domani, delle decisioni che dovrà inevitabilmente prendere, dei pericoli che lo attendono dietro l’angolo, di come evitare fastidiosi imprevisti e di come raggiungere gli agognati obiettivi – tutte quelle cose che ha sempre sognato.

J. riprende a parlare.

“A questo punto, qui e adesso, poniti la domanda: ‘C’è qualcosa di veramente sbagliato?’ Sì, c’è. E allora sforzati di capire che sei in grado di cambiare il tuo futuro, trasportando il passato nel presente. Ricorda: il passato e il futuro esistono solo nella nostra memoria.

“Il presente travalica sempre il tempo: è l’Eternità. È piuttosto difficile da comprendere: in mancanza di una spiegazione migliore, gli indiani usano la parola ‘karma’, sebbene il concetto che esprime sia abbastanza limitato.

Non è quello che hai fatto nella tua vita passata a influenzare il presente, ma è ciò che fai nel presente che redimerà il passato e logicamente cambierà il futuro.”

“Ossia...”

J. fa una pausa. Appare sempre più irritato perché non riesco a capire quello che sta cercando di spiegarmi.

“Non serve a niente continuare a usare parole che non hanno alcun significato reale. È qualcosa che devi sperimentare.

Per te è arrivato il momento di andartene da qui. Di riconquistare il tuo regno, ormai corrotto dalla

routine. È giunta l’ora di smettere di ripetere la medesima lezione: non è questo che ti farà imparare alcunché di nuovo.”

“Non si tratta di routine. Io sono infelice.”

“Si tratta soltanto di routine. Pensi di esistere solo in virtù della tua infelicità. Altre persone affondano le radici della propria esistenza nei problemi e ne parlano ossessivamente:

problemi con i figli, la moglie o il marito, la scuola, il lavoro, gli amici. Non si fermano mai a pensare:

‘Io sono qui. Sono il risultato di tutto quello che è accaduto e il prodromo di ciò che accadrà ma, in qualsiasi caso, sono qui. Se ho compiuto azioni sbagliate, posso correggerle o, almeno, chiedere perdono. Se ho agito in modo giusto, devo godere di questo dono, essere più felice

e compenetrato con il presente.’”

J. respira profondamente, prima di concludere:

“Tu non sei più qui. Devi allontanarti davvero per poter ritornare al presente.”

* * *

Era ciò che temevo. Da qualche tempo, J. tentava di farmi capire che era arrivato il momento che mi dedicassi al terzo cammino sacro. Eppure la mia vita era cambiata molto da quel lontano 1986, allorché il pellegrinaggio fino a Santiago de Compostela mi aveva rivelato il mio destino o, meglio, il “progetto di Dio”. Tre annidopo, nella regione in cui ci trovavamo adesso, avevo intrapreso il Cammino di Roma, un processo doloroso e faticoso che, per settanta mattine, mi aveva obbligato

a tradurre in realtà tutte le assurdità che avevo sognato la notte: ricordo di essere rimasto per quattro ore alla fermata di un autobus, senza che succedesse niente di significativo.

Da allora, mi ero disciplinatamente adeguato a tutte le incombenze che il mio lavoro richiedeva. In fin dei conti, l’avevo scelto, ed era la mia benedizione. Fu così che presi a viaggiare come un forsennato. Le grandi lezioni della mia vita le ho apprese dai viaggi.

Per la verità, sin da giovane, ho sempre viaggiato moltissimo.

Tuttavia, a un certo punto, mi era sembrato di vivere negli aeroporti e negli alberghi – e il senso dell’avventura veniva scalzato sempre più da un profondo tedio.

Quando mi lamentavo di essere incapace di trattenermi a lungo nel medesimo luogo, gli altri si stupivano: “Ma viaggiare è così bello! È triste non avere abbastanza soldi per poter permetterselo!”

Viaggiare non è mai stata una questione di denaro, bensì di coraggio. Io ho trascorso un considerevole periodo della vita girando il mondo da hippy: quanti soldi avevo, allora? Pochi e, in alcuni casi, nessuno. Talvolta avevo il denaro appena sufficiente per pagarmi i mezzi di trasporto,

eppure credo che siano stati gli anni migliori della mia gioventù, anche se mangiavo in modo schifoso, dormivo nelle stazioni ferroviarie, ero incapace di comunicare per

via della lingua e dovevo dipendere dagli altri persino per trovare un posto dove passare la notte.

Dopo tanto tempo passato a girovagare, ad ascoltare lingue che non comprendi, a maneggiare denaro di cui non conosci il valore, a percorrere strade sulle quali non sei mai transitato, alla fine scopri che il tuo vecchio Io, nonostante questa miriade di cimenti, si è mostrato assolutamente

inadeguato per le sfide: è in quel momento che cominci ad avvertire una presenza sepolta nelle profondità del tuo animo, una figura davvero interessante, un avventuriero aperto al mondo e a esperienze sconosciute.

Eppure arriva un giorno in cui dici: “Basta!”

“Basta! Per me viaggiare si è trasformato in una monotona routine.”

“No, non può essere così. Viaggiare non diventerà mai una routine,” incalza J. “La nostra vita è un viaggio ininterrotto, dalla nascita alla morte. Si trasforma il paesaggio, variano le persone, mutano le necessità, ma il treno prosegue la sua corsa. La vita è il treno, non la stazione ferroviaria.

E finora tu non hai viaggiato: hai soltanto cambiato paese – una cosa del tutto diversa.”

Ho scosso il capo in segno di diniego.

“Non servirà. Se devo ripetere un errore commesso in un’altra vita – un errore del quale sono pienamente consapevole – non c’è bisogno che me ne vada da qui. In quel

sotterraneo, obbedivo soltanto agli ordini di qualcuno che sembrava conoscere i disegni di Dio: tu.

“Inoltre, ho già incontrato almeno quattro persone a cui ho chiesto perdono.”

“Ma non hai scoperto la maledizione che è stata lanciata su di te.”

“Allora anche tu sei stato maledetto. Hai scoperto di cosa si trattava?”

“Sì, ci sono riuscito. E, te lo posso garantire, si è rivelata assai più dura della tua. Tu ti sei comportato da vigliacco una volta, mentre io sono stato ingiusto moltissime volte.

In qualsiasi caso, quell’esperienza mi ha liberato.”

“Visto che devo viaggiare nel tempo, perché muovermi anche nello spazio?”

J. ha riso.

“Perché ci viene sempre offerta una possibilità di redenzione, ma dobbiamo incontrare le persone alle quali abbiamo fatto del male e chiedere loro perdono.”

“E dove… dovrei andare? A Gerusalemme?”

“Non lo so. Dove penserai che sia giusto andare. Scopri cos’hai lasciato incompiuto e agisci per completare l’opera. Sarà Dio a guidarti, perché tutto ciò che hai vissuto e vivrai si trova comunque qui, adesso. Il mondo si sta creando e distruggendo in questo momento. Chi hai incontrato,

si ripresenterà; chi hai lasciato partire, ritornerà. Non tradire i doni che ti sono stati concessi. Cerca di comprendere che cosa ti sta accadendo e scoprirai quello che sta succedendo a tutti.

“Non pensare che io sia venuto a portare la pace. Sono arrivato a portare la spada.”





© 2010 Paulo Coelho

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