Frenare per vincere. Brembo e lo Sport, un amore ricambiato. Una superiorità talmente netta che, talvolta, si è trasformata in un monopolio quando ancora la Federazione Internazionale non aveva imposto la “monofornitura” per limitare i costi. È quanto sta accadendo in Formula 1 dove, quest’anno per la prima volta, tutti i dieci team più veloci del pianeta hanno liberamente scelto di rivolgersi al Gruppo italiano, autentico leader del settore. Nove di loro hanno preferito il marchio della casa madre. Uno, la McLaren, si è rivolta alla AP Racing di Coventry che è stata totalmente acquisita anni fa dalla multinazionale lombarda. I Bombassei hanno sempre avuto coraggio e l’intraprendenza non è mai mancata.
Nel 1975, a poco più di dieci anni dalla fondazione dell’azienda, la “famiglia” ebbe l’ardore di offrire il proprio materiale all’ingegner Ferrari, uno che se ne intendeva e puntava molto in alto. All’epoca i dischi erano in ghisa. A convincere il Drake fu la qualità di esecuzione, molto più dei buoni rapporti che la Brembo già aveva con Alfa Romeo e Pirelli. Da allora, nella massima espressione dell’automobilismo sportivo, è stata una progressiva invasione, condita da imprese eroiche dei campioni più blasonati. I Campionati arrivano subito, con Lauda e Scheckter, ma meno di un decennio dopo si cambia tecnologia, passando al carbonio (1984). In quasi mezzo secolo di collaborazione strettissima, la coppia Ferrari-Brembo ha vinto oltre 180 gran premi e Michael Schumacher da solo è arrivato primo 91 volte (tutte le sue vittorie) con i freni italiani.
Complessivamente l’azienda lombarda ha disputato più di 800 GP, vincendone oltre la metà (più di 470).
Queste, sotto sforzo nei circuiti che mettono a dura prova l’impianto fra i quali c’è sicuramente Montreal, possono raggiungere i 350°. Nel 2020 un “caliper” della Brembo ha vinto per la seconda volta (le prima nel 2004) il “Compasso d’Oro”, il più antico e prestigioso premio di design industriale. Da incorniciare la motivazione: «Se non fosse un freno, sarebbe una scultura degna di qualunque museo d’arte moderna». Quest’anno, nell’abito delle iniziative per contenere i costi, la Fia ha semplificato i dischi scendendo a circa 1.100 fori all’anteriore e 900 dietro. Gli stessi apprezzamenti e le stesse performance raggiungono gli impianti montati dalla MotoGP, dall’Endurance (compresa la massacrante 24 Ore di Le Mans), dalla Formula E e dai rally.