Violenza sessuale durante il raduno, la vittima si contraddice: alpino assolto in appello

Violenza sessuale durante il raduno, la vittima si contraddice: alpino assolto in appello
di Marcello Ianni
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Martedì 3 Gennaio 2023, 08:22

«La valutazione sull'attendibilità della persona offesa si presenta estremamente complessa soprattutto per la sua fragilità psichica preesistente e successiva ai fatti». Così la Corte d'Appello dell'Aquila ha motivato l'assoluzione degli imputati per violenza sessuale di gruppo su una minorenne (in primo grado erano stati condannati a 4 anni ciascuno) nel corso dell'Adunata nazionale alpini del 2015. Si tratta di D.C., oggi 35enne, (assistito dall'avvocato Marilena Facente) e del venditore ambulante S. B., coetaneo, nato e residente a Palermo, difeso dagli avvocati Luca Tirabassi e Daniele D'Amico entrambi del Foro di Sulmona.

Secondo l'Appello, la parte offesa (rappresentata da Simona Giannangeli) nel corso dell'audizione protetta avrebbe fornito «versioni progressivamente e sensibilmente diverse non solo con riferimento alla identità dei due violentatori inizialmente indicati come due sconosciuti e poi individuati negli odierni imputati, ma anche in ordine alla complessiva dinamica dell'episodio». Alla psicologa aveva dapprima riferito di aver visto per la prima volta i due individui che poco dopo la avrebbero violentata; nelle successive dichiarazioni in sede di esame protetto ha parlato di una conoscenza con gli imputati avvenuta il giorno procedente.

«All'epoca delle prime rivelazioni si legge in sentenza - la ragazza era ricoverata in una struttura psichiatrica per gravi disturbi depressivi ed era sottoposta a cure farmacologiche.

Ciò che indubbia gravemente le sue dichiarazioni è l'insanabile contrasto tra la sua ricostruzione dei fatti e le altre emergenze processuali». Dalle indagini poi non sono emersi contatti telefonici tra i due imputati che non si conoscevano. «Ciò non esclude che abbiano potuto commettere la condotta contestata nel corso di una conoscenza estemporanea evidenzia il collegio giudicante - ma non è ragionevole ipotizzare che commesso insieme un fatto di tale gravità, i due non si siano cercati né nei giorni immediatamente seguenti né successivamente».


«La Corte d'Appello - ha detto l'avvocato Tirabassi -, dopo una scrupolosa rilettura delle prove e all'esito di una rinnovata istruttoria, ha posto rimedio alla ingiusta condanna emessa in primo grado, giungendo a condividere, in sostanza, la tesi da noi sempre sostenuta. Non c'è mai stata violenza sessuale, tantomeno di gruppo, bensì due separati e distinti rapporti sessuali consenzienti, dapprima con il Ceci e successivamente con il Belhaj, peraltro neppure completo. Confidiamo che l'impianto motivazionale superi il vaglio della Cassazione, anche perché la versione dei fatti resa dalla parte civile risulta oltremodo inverosimile, illogica e contrastata da plurime evidenze probatorie».

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