Zootecnia, materie prime alle stelle. Nel Viterbese «una stalla su quattro chiuderà»

La protesta dei coltivatori a Tarquinia
Speculazione e difficoltà di reperimento dei prodotti alimentari per agli animali, allarme rosso per gli allevatori della Tuscia. Secondo una stima del presidente...

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Speculazione e difficoltà di reperimento dei prodotti alimentari per agli animali, allarme rosso per gli allevatori della Tuscia. Secondo una stima del presidente provinciale di Coldiretti, Mauro Pacifici, una stalla su quattro sarebbe a rischio chiusura causa l'aumento dei prezzi (in salita da marzo 2021 e ancora senza freno) e dai rincari energetici.

Una situazione grave che ricalca i numeri nazionali. Secondo l'ultimo rapporto Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e analisi economia agraria) «più di una azienda agricola su 10 (l'11%) vive un momento di crisi profonda tale da portare alla cessazione dell'attività, mentre un terzo del si trova costretto a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell'aumento dei costi». «I numeri spiega Pacifici - sono sul piatto: il costo dei mangimi è raddoppiato e le bollette, in alcuni, casi triplicate. I prezzi di vendita alla grande distribuzione, a cominciare dal latte, sono di contro così bassi da non permettere il pareggio delle spese».

In una provincia a trazione agricola e che impiega oltre il 30% della sua forza imprenditoriale nel settore primario una crisi su larga scala sarebbe insostenibile. Spiega ancora Pacifici: «Sarebbe un colpo mortale sotto tanti punti di vista: aziendale, occupazionale e per l'export. La Tuscia, forse qualcuno se lo scorda, è la terza realtà italiana per numero di ovini allevati. Le nostre stalle producono poi latte di qualità e sostengono il mercato della carne».

La ripresa delle aziende, secondo Coldiretti, passa nell'immediato da nuovi interventi sul contenimento dei prezzi dell'energia, quindi da un rapido cambio di direzione verso una politica di piena autosufficienza alimentare anche per la destinazione animale. «Siamo costretti ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais, fondamentale per gli allevamenti conclude Pacifici -. La decisione dell'Europa di aprire alla coltivazione dei campi a riposo è importante ma non basta».

Per ora la situazione sembra lontana dal trovare una soluzione. Secondo l'ultimo rapporto Istat, le previsioni di semina per le coltivazioni cerealicole nel 2022 indicano una crescita dei terreni a orzo (+8,6%), una sostanziale stabilità per il frumento tenero per pane e biscotti (+0,5%), un calo del frumento duro per la pasta (-1,4%) e, infine, un tonfo per il mais (-4,8%).

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Il Messaggero