"Una mano amica", nelle scuole dopo il Covid un supporto alle relazioni interpersonali

L'istituto Savi
Prosegue l’impegno nelle scuole del progetto “Una mano amica”, ideato dal Ceis di Viterbo per fornire supporto psicologico ai giovani studenti delle scuole...

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Prosegue l’impegno nelle scuole del progetto “Una mano amica”, ideato dal Ceis di Viterbo per fornire supporto psicologico ai giovani studenti delle scuole superiori. “Tutto è cominciato circa tre anni fa – spiega Francesco Melozzi, pedagogista e referente del progetto – avevamo già effettuato degli incontri nelle scuole, ma la pandemia ci aveva fermato. Ora siamo finalmente tornati in presenza e al Paolo Savi continuiamo i nostri incontri con l’obiettivo di promuovere il benessere nelle relazioni”.

Ad aiutare la buona riuscita del progetto, anche i docenti di religione delle scuole coinvolte e dei relativi dirigenti scolastici, come la dirigente Paola Bugiotti, in questo caso. “In questi primi due mesi di lavoro – prosegue – i ragazzi sono riusciti a realizzare già molti progetti. In una classe, in particolare, gli studenti hanno sviluppato delle slide di accoglienza per un giovane ucraino, profugo della guerra in corso e inserito da appena un mese nella sua classe”. Gli incontri, al momento tre per ognuna delle classi coinvolte, hanno contribuito alla “rinascita” delle relazioni dopo ben due anni di didattica a distanza.

“Insieme ai ragazzi abbiamo potuto riflettere su questo particolare periodo che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo, in parte – continua Melozzi – Abbiamo parlato di come siano cambiate le relazioni ed è stato interessante scoprire quanto i giovani abbiano sviluppato una visione molto disincantata dell’attuale situazione. Molti hanno totalmente bocciato le relazioni online, la cosiddetta Dad, dimostrando una grandissima voglia di tornare alla presenza in aula e al contatto fisico in generale, per poter rivedere e riabbracciare con mano i loro conoscenti”.

Ad appena 16 anni, spiega successivamente il pedagogista, gli studenti hanno compreso meglio di tutti come la crisi pandemica sia riuscita a generare un disagio enorme dal punto di vista relazionale, azzerando i contatti per un periodo prolungato e, immancabilmente, causando danni emotivi alle persone di ogni fascia d’età.  Ascoltando le loro voci e raccogliendo le loro emozioni, come rabbia, collera e frustrazione, l’obiettivo è stato quello di spronare un cambiamento, spingendo i giovani soggetti coinvolti a reagire. Ora, il progetto promette di non arrestarsi. “Abbiamo da pochissimo terminato gli incontri al Paolo Savi – conclude – ma è nostro interesse proseguire. Dovremmo farlo partendo dal Liceo Santa Rosa, restando comunque nella fascia di età delle scuole superiori, in particolare le classi seconde, terze e quarte. Dal prossimo anno, magari, potremmo invece lavorare anche a partire dalle terze medie, dove i ragazzi sono abbastanza grandi”.

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Il Messaggero