Ndrangheta viterbese, in sette ore di udienza emerge come nasce e cosa faceva la banda

Uno degli attentati della banda
Non sono bastate sette ore per raccontare la genesi dell’associazione di stampo mafioso viterbese. Ieri mattina è ripreso, dopo un lungo stop causato...

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Non sono bastate sette ore per raccontare la genesi dell’associazione di stampo mafioso viterbese. Ieri mattina è ripreso, dopo un lungo stop causato dell’emergenza Coronavirus, il processo con rito ordinario ai due imprenditori viterbesi Emanuele Erasmi e Manuel Pecci e al romeno Pavel Ionel, accusati di aver aiutato e sfruttato la banda di ‘ndranghetisti locali, capeggiata da Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, per tornaconto personale. 


Unico testimone della giornata il comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri di Viterbo, il maggiore Marcello Egidio. In aula non solo i difensori degli imputati, Giuliano Migliorati per Erasmi, Fausto Barili e Carlo Taormina per Pecci e Michele Ranucci per Pavel Ionel; ma anche i legali della parte civile. Tra cui il Comune di Viterbo con l’avvocato Marco Russo. Presente anche il pm antimafia Fabrizio Tucci che ha seguito l’inchiesta, coordinando i carabinieri del Nucleo investigativo di Viterbo, fin dal principio.

Il maggiore Egidio, in un’udienza fiume, ha spiegato le azioni della banda fin dal principio. Incrociando gli eventi con le intercettazioni telefoniche. Quest’ultime il cardine di tutto il processo. E’ stato grazie alle conversazioni telefoniche e ambientali captate dai carabinieri che gli investigatori sono riusciti a ricostruire ogni singolo episodio e attentato pianificato dai due capi Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi. Capi che non sono in questo procedimento, visto che hanno chiesto il rito abbreviato che consente lo sconto di un terzo della pena.

Il comandante del Nucleo investigativo ha parlato soprattutto dell’aspetto associativo della banda, sottolineando i connotati che la rendono di stampo mafioso. I tre imputati, tutti presenti in udienza, rispondono però solo di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Non sono considerati dall’accusa parte attiva della banda. Ma ne hanno sentito la forza. In particolare Manuel Pecci, imprenditore viterbese nel settore dell’estetica avrebbe chiesto l’aiuto di Giuseppe Trovato per risolvere un “contenzioso” con un cliente rimasto danneggiato nel suo centro estetico. Emanuele Erasmi, piccolo imprenditore del settore edile di Bagnaia si sarebbe rivolto alla banda per recuperare un credito. 


Diversa la posizione di Pavel Ionel. Il romeno, ristretto ai domiciliari dopo un lungo periodo nel carcere di Torino, sarebbe stato una sorta di tuttofare alla mercé di Rebeshi. Avrebbe rubato auto per la banda e avrebbe partecipato a dei sopralluoghi. Oggi si torna in aula. A sfilare come testimoni alcune delle vittime eccellenti della banda come gli imprenditori Petrini e Macrì, che hanno visto bruciare le loro auto. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero