Secondo trimestre in calo per la Tuscia. Crisi per commercio, strutture recettive e ristoranti. Tengono agricoltura e settore edile, in crescita l’area immobiliare. Rispetto...
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«C’è poco da stare sereni, quello che abbiamo visto finora potrebbe essere solo la punta dell’iceberg – spiega Giancarlo Bandini, segretario provinciale di Confimprese -. I sette mesi che abbiamo davanti saranno un esame durissimo per migliaia di imprese: non esistono settori esenti dal pericolo di una stagione di chiusure».
Una differenziazione nella percentuale di rischio può essere fatta. L’effetto lockdown si è accanito particolarmente sulle aree di mercato strutturalmente più fragili, quelle con i conti in rosso già prima della pandemia: il commercio al dettaglio e, in primis, l’abbigliamento. Poi sui settori che costruiscono la loro forza economica esclusivamente sul transito diretto di persone.
«Una rondine non fa primavera – continua in proposito Bandini – i numeri che i ristoranti hanno registrato quest’estate compensano solo parzialmente le perdite. Stessa cosa per gli alberghi per i quali un agosto da tutto esaurito non è sufficiente a tirare fino al 2021». Sulle imprese non pende poi solo il rischio di nuove misure legate all’aumento dei contagi ma anche la pressione fiscale, per l’Istat arrivata al 43,2%, in crescita di 1,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente: «Nonostante – si legge nella nota diffusa dall’Istituto di statistica - la marcata riduzione delle entrate fiscali e contributive».
E, ancora, pesa l’aumento della propensione al risparmio delle famiglie (+18,5%), trascinata da un crollo del reddito e del potere d’acquisto che si traduce in una contrazione dei consumi in doppia cifra (-11,8%)
«La vera sfida da vincere è quella legata al taglio del costo del lavoro – spiega Fortunato Mannino, segretario provinciale della CISL -. Senza una riforma seria che tenga conto delle necessità degli imprenditori, senza colpire i dipendenti, anche solo pensare di ripartire non è possibile».
Per Mannino, la politica messa in piedi dal governo resta un palliativo: «Bisogna creare occupazione, preoccuparsi di costruire ponti prima che dighe – continua – i miliardi messi sul piatto dall’Unione Europa vanno orientati in questa direzione. Per trainare i consumi serve disponibilità, serve quindi garantire una soglia di sicurezza alle persone: serve, in ultima analisi, lavoro».
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Il Messaggero