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«Un terremoto avrebbe distrutto tutto e lui avrebbe fondato una nuova civiltà. Era il nuovo messia e noi allieve avremmo fatto figli solo con lui». Lui è il mastro Lino, il santone di Acquapendente. Per l’anagrafe di Napoli il 66enne Pasquale Gaeta. L’uomo, accusato di violenza sessuale, maltrattamenti e esercizio abusivo della professione di psicologo, che sei anni fa aveva creato ad Acquapendente la comunità Qneud” (acronimo di Questa non è una democrazia) dove secondo l’accusa raggirava giovanissime per pratiche sessuale.
A far scoppiare il caso fu la mamma di una delle presunte vittime. La donna, che non riusciva più ad avere contatti con la figlia 24enne, con uno stratagemma avrebbe messo dei registratori a casa dell’uomo dove avrebbe scoperto che la figlia era diventata una schiava. Subito dopo presentò denuncia. Nella comunità del maestro Lino però sarebbero entrate diverse ragazze, tutte con l’intenzione di percorrere il “cammino catartico” e purificarsi.
«L’ho conosciuto nel 2017 - ha raccontato - durante un periodo particolarmente delicato e complesso della mia vita. Ero diventata un’emarginata e stavo male. Cercavo appigli e durante un lavoro teatrale a Orvieto me lo hanno presentato. Ho subito notato che altri ragazzi lo chiamavano maestro, gli portavano rispetto. Tornata a Bologna abbiamo iniziato a sentirci su Skype gli ho parlato delle mie difficoltà e mi ha detto che poteva aiutarmi. Così a giugno del 2018 sono andata a Roma. Lui diceva di essere uno psicologo, mi faceva sentire come se io avessi bisogno di lui ma dovevo affidarmi completamente. Mi diede due oggetti una croce, che significava che entravo nel suo gruppo di allievi, e un uovo di giada che serviva per sbloccare i chakra. Dovevo infilarlo nelle parti intime».
La frequentazione tra i due si fa più assidua, la ragazza va sempre più spesso dal maestro che la porta alle prime pratiche sessuali. «Dovevo stare nuda nel letto, masturbarmi ma solo con lui. C’era moltissimi riti dal matrimonio iniziatico che credo l’altra ragazza fosse in procinto di compiere, al il gongolo (la masturbazione). Parlava anche di avere figli, ma potevamo solo con lui. Tramite atto o provetta. Si doveva bere anche urina. Io mai fatto, ma sapevo essere una pratica. Diceva che per quello non ero ancora pronta». Nonostante siano passati quasi 5 anni dai quei giorni in comunità la ragazza è ancora profondamente scossa. «Io sono molto arrabbiata - ha detto ancora - perché mi ha utilizzato in un momento di debolezza per fare i suoi comodi. Se ne è approfittato. Io non ero lucida, il mio non era consenso».
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