Terremoto, famiglia viterbese ad Amatrice: «Io, al buio e a piedi nudi sui vetri, gridavo il nome di mia figlia»

Terremoto, famiglia viterbese ad Amatrice: «Io, al buio e a piedi nudi sui vetri, gridavo il nome di mia figlia»
«Ero in ginocchio sul letto, al buio, non sapevo cosa fare. La luce non si accendeva, gridavo il nome di mia figlia Viola. Ero terrorizzata, non so quando mi...

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«Ero in ginocchio sul letto, al buio, non sapevo cosa fare. La luce non si accendeva, gridavo il nome di mia figlia Viola. Ero terrorizzata, non so quando mi riprenderò». Alessia Clementi ieri notte era a Capricchia, frazione di Amatrice. Oltre alla piccola di 4 anni c’erano i suoi genitori e il marito. Ieri pomeriggio sono riusciti a rientrare a Viterbo, ma da lì si sono portati dietro la peggiore esperienza della propria vita.


Capricchia dista solo 4 chilometri da Amatrice. «Lì abbiamo casa – dice Clementi – ci andiamo ogni anno. Fortunatamente ha retto. E pensare che da piccola questi pochi chilometri me li facevo a piedi». Sono le 3,36 quando esplode il terremoto. «Appena ho sentito il boato, la prima cosa a cui ho pensato è che si trattasse di una guerra. Ma non si vedeva nulla, ero preoccupata per mia figlia, gridavo il suo nome. Cercavo la luce, ma l’elettricità era saltata. Ero terrorizzata». Tutti e cinque hanno tentato di uscire, di fuggire. «Il portone però era bloccato, non si apriva. Poi finalmente siamo riusciti ad andare fuori. In strada eravamo scalzi: camminavamo sui vetri. E’ in quel momento che ho pensato a L’Aquila, lì ho realizzato che si trattava di un terremoto».

Alessia, il marito Domenico e la figlia Viola fino a pochissimi giorni fa erano al campeggio Santa Barbara, a Riva dei Tarquini. Il padre infatti è un vigile del fuoco. «Ha detto subito di andare nella piazza centrale – continua – e come noi in paese c’erano tante altre persone fuori. Siamo stati ospitati dalla Pro loco di Capricchia, dove si sono organizzati per far fare colazione a tutti. Lì la sera si fa la pizza, in molti hanno portato qualcosa. Insomma, il da mangiare non mancava».

Rispetto alla distruzione che ha investito Amatrice, quei pochi chilometri hanno fatto la differenza. «Sono crollati alcuni fienili – spiega ancora Clementi – e due case vicine alla mia sono praticamente da buttare. La nostra fortunatamente no, anche se alcune stanze versano in condizioni pietose, sono caduti a terra quadri, calcinacci e altro. Non ci siamo resi conto subito della gravità della situazione, anche se qualche notizie da Amatrice ogni tanto arrivava».


Gli elicotteri hanno sorvolato e monitorato anche Capricchia. «In un paio di giorni sarei tornata a Viterbo lasciando mia figlia con i nonni. Ad Amatrice sono morte persone che conoscevo. E’ stata un’esperienza terribile – conclude – non so quando mi riprenderò». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero