“Ospitalità negata”, 20 scatti per raccontare il lockdown dei ristoratori

Il fotografo Luca Storri
Dalle osterie alle posate d’argento dei locali stellati, in 20 scatti Luca Storri racconta il lockdown dei ristoratori. 34 anni di Soriano nel Cimino, una passione per la...

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Dalle osterie alle posate d’argento dei locali stellati, in 20 scatti Luca Storri racconta il lockdown dei ristoratori. 34 anni di Soriano nel Cimino, una passione per la fotografia che tre anni fa lo ha spinto a aprire uno studio cestinando gli studi in giurisprudenza e la carriera da avvocato, ha chiamato il progetto ‘Ospitalità negata: i ristoratori al tempo del Covid-19’. Desiderio di documentare lo stato di salute di un settore duramente colpito dall’epidemia, la ragione da cui è nata l’esigenza narrativa di Storri. 


«Le immagini contano più delle parole, scavano un solco nella mente, ci spingono alla riflessione – spiega -. Il distanziamento sociale, per chi vive di e con i contatti umani è stata una doppia condanna. Il ristorante, in qualche modo, è un centro di preghiera laica. Se c’è solo il sacerdote all’interno perde carattere e ragione di esistere». Denuncia sociale, per un settore lasciato ai margini, ma anche invito a resistere. 

«Le parole che ho ascoltato in queste settimane sono state una mix di frustrazione e desiderio di tornare alla normalità – continua – Le sale deserte e  i visi tesi non nascondono l’asprezza del momento ma negli sguardi si intravede una scintilla di speranza e il desiderio di afferrare l’orizzonte sebbene indefinito».  Spina dorsale del progetto, che potrebbe diventare presto una mostra, la tecnologia. FaceTime e Google Duo gli strumenti per entrare a distanza nei ristoranti. «La tecnica si chiama scatto da remoto. Si tratta di una videochiamata che si conclude con una fotografia», spiega. 


Facile solo all’apparenza: «I crismi  sono gli stessi della realizzazione di un ritratto – dice - . C’è una cura della composizione della foto, cioè di quale sfondo scegliere e di come posizionare il soggetto, e c’è il lavoro successivo allo scatto, con la post-produzione. Sono stato io, in questo, a fare da guida, proprio come fossimo stati  in uno studio fotografico. Con la differenza che, in mancanza del treppiedi, ho chiesto collaborazione a un terzo per tenere il telefono e inquadrare il soggetto. Il test d’esordio ha dato buoni frutti».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero