«Le immagini contano più delle parole, scavano un solco nella mente, ci spingono alla riflessione – spiega -. Il distanziamento sociale, per chi vive di e con i contatti umani è stata una doppia condanna. Il ristorante, in qualche modo, è un centro di preghiera laica. Se c’è solo il sacerdote all’interno perde carattere e ragione di esistere». Denuncia sociale, per un settore lasciato ai margini, ma anche invito a resistere.
«Le parole che ho ascoltato in queste settimane sono state una mix di frustrazione e desiderio di tornare alla normalità – continua – Le sale deserte e i visi tesi non nascondono l’asprezza del momento ma negli sguardi si intravede una scintilla di speranza e il desiderio di afferrare l’orizzonte sebbene indefinito». Spina dorsale del progetto, che potrebbe diventare presto una mostra, la tecnologia. FaceTime e Google Duo gli strumenti per entrare a distanza nei ristoranti. «La tecnica si chiama scatto da remoto. Si tratta di una videochiamata che si conclude con una fotografia», spiega.
Facile solo all’apparenza: «I crismi sono gli stessi della realizzazione di un ritratto – dice - . C’è una cura della composizione della foto, cioè di quale sfondo scegliere e di come posizionare il soggetto, e c’è il lavoro successivo allo scatto, con la post-produzione. Sono stato io, in questo, a fare da guida, proprio come fossimo stati in uno studio fotografico. Con la differenza che, in mancanza del treppiedi, ho chiesto collaborazione a un terzo per tenere il telefono e inquadrare il soggetto. Il test d’esordio ha dato buoni frutti».
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