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Ironia e intelligenza, una competenza fuori dal comune quando parla di vini e bilanciamento dei piatti. A 27 anni il tarquiniese Andrea Selvaggini si porta a casa una stella Michelin sette mesi dopo l’apertura nel suo locale, Savage, a Oslo in Norvegia.
Una nazione che, racconta, «mi ha dato tanto, mi ha fatto conoscere la mia compagna (veneta) che mi ha dato nostra figlia», e tolto solo in un’occasione «a Bodo, il 21 ottobre 2021, quando la Roma ne ha presi 6 in Conference League».
Il sogno, oggi, è una cartolina del suo paese, Tarquinia, che tiene nel suo cassetto mentale insieme a quello che conta davvero: famiglia, passioni, lavoro e amici. «Mi piacerebbe tornare, aprire un locale a casa mia – spiega -. Per ora è un’idea, ma il futuro spesso arriva con una forza che sorprende ed una rapidità che non t’aspetti». È stato così anche per la stella Michelin «arrivata in maniera inaspettata», con una mail alle 23,30 di una giornata anonima, che sul calendario si è accesa di un rosso intenso quando le luci del ristorante si stavano spegnendo. «Incredulità, la prima sensazione, gioia la seconda che non sono riuscito a trattenere».
Non c’è stato tempo per pensare ai sacrifici fatti «perché fanno parte del gioco e la passione rende tutto più leggero». Di rinunce, però, Andrea ne ha fatte eccome: dalle incomprensioni iniziali con il papà che lo voleva medico - «ricordo ancora la sua faccia quando dopo la maturità scientifica gli comunicai il mio desiderio» - alla valigia tirata fuori da sotto il letto e riempita di fame di conoscenza dopo la scuola Boscolo.
Prima tappa a Metz, cucina francese in salsa teutonica amata da Proust. Poi Lussemburgo. Quindi biglietto aperto per il Messico, «dove ho cucinato il piatto più strano in assoluto: una tartare di uova di formiche», poi la Spagna di Quique Dacosta, chef eretico e visionario che ha ribaltato i canoni tradizionali. In mezzo qualche esperienza nelle cucine più aristocratiche romane, poi il viaggio in Norvegia: in una trottola di eventi, climi e culture diverse «esperienza fondamentali per la mia crescita».
E per nuovi piatti che variano tra il purismo della cucina italiana e creazioni creole. Ossa di quello che oggi è Savage, il ristorante di cui Andrea e il suo staff sono muscoli cuore e tendini, «una finestra sul mondo dove accompagniamo i clienti in un viaggio: cibo e vino sono derma di un popolo, conoscenza, cultura e amicizia». Un posto dove oggi brilla una stella in più.
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