La giunta Zingaretti dipenderà dalle scelte di Forza Italia (e del centrodestra in generale), ma anche dal M5S. Sembra un paradosso ma è così: il governatore...
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I NUMERI
L'equilibrio è molto complicato. Perché le opposizioni uscite fuori dalle elezioni sono tre, ma solo sulla carta. I loro capitani sono: Stefano Parisi, Roberta Lombardi e Sergio Pirozzi. Ma il leader del centrodestra espressione di Energie per l'Italia, a sua volta, deve fare i conti con i gruppi di Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e Noi per l'Italia. Dunque in totale siamo a sette pattuglie che non è detto si muovano in maniera compatta. Ora, tolto Pirozzi che dice di non volere trattare e anzi rilancia sulle dimissioni in blocco con la spinta di Matteo Salvini, rimangono gli altri. Questa settimana la delegazione Pd (composta dal trio Leodori-Buschini- Valeriani) inizierà gli incontri informali. Lo scopo: blindare Leodori come presidente e cedere qualche commissione. Alle consultazioni sarà presente anche Zingaretti. Già da qui si capiranno molte cose. Le minoranze, se volessero, potrebbero fare di tutto e di più: far cadere il presidente con dimissioni e sfiducia e più semplicemente eleggere un presidente del consiglio che non sia espressione del centrosinistra.
In caso contrario, decisi dunque gli «assetti dell'Aula», si potrà partire con la squadra. E alcuni consiglieri eletti potranno anche dimettersi per entrare in giunta, come nel caso di Massimiliano Valeriani che così «ripescherebbe» Michele Civita, capolista Pd alle elezioni e primo dei non eletti. I nomi che girano sono molti. «Nicola ha delle pressioni enormi in questo momento», confessa chi lo conosce bene. Lo schema da cui è pronto a partire prevede due uscenti: il vice Massimiliano Smeriglio, Alessandra Sartore (lady Bilancio). E poi ci sono i due nuovi: Gian Paolo Manzella e Alessio D'Amato, commissario della cabina di regia sulla sanità, che dovrebbe entrare in squadra proprio con questa delega.
LE PROVINCE
Per il resto, la situazione è «fluida», commentano dal Pd. Di sicuro i territori del Lazio dovranno essere rappresentati in giunta. Esempio: se l'eletto nella Tuscia, Enrico Panunzi, non dovesse dimettersi, come infatti non ha intenzione di fare, potrebbe indicare un uomo (o una donna) di fiducia da far entrare nell'esecutivo. E così Latina, Frosinone e Rieti. Dalla Ciociaria potrebbe ritornare Francesco De Angelis (già nella giunta Marrazzo). Altro tema, gli equilibri interni al Pd: i Turchi spingono per l'ex parlamentare Pina Maturani, l'area gentiloniana per Lorenza Bonaccorsi. Per Leu, già frazionato in Sinistra italiana e Mdp, spunta il nome di Paolo Cento. Il governatore come sempre in questi casi avrà anche il tema dell'equilibrio di genere: cherchez la femme, insomma. La strada non è delle più semplici.
Regna la consapevolezza che, come si lascia sfuggire un autorevolissimo zingarettiano, «già è tanto se duriamo due anni». Anche perché, tra le ambizioni del presidente e il quadro politico nazionale, mai come questa volta i destini della Regione e del Parlamento appaiono sovrapposti e legati tra loro. Simul stabunt, simul cadent.
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Il Messaggero