«Dovremo garantire solo vitto e alloggio, in pratica saranno alberghi per disperati». Le direttive del ministero dell'Interno non facevano presagire nulla di...
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Il consorzio Gruppo Intercasa Gea ha già ufficializzato la sua decisione al Palazzo del governo: dal 28 aprile non farà più accoglienza. Altri, come l'Arci, stanno valutando il da farsi. L'avviso, valido per un biennio a partire dal primo maggio e fino al 30 aprile 2021, si basa su una previsione di 1.500 posti per richiedenti asilo, suddivisi in tre tipologie di strutture: 525 per le singole unità abitative, 450 per i centri con capacità massima di 50 ospiti; e ancora 525 per quelli fino a 300. Drastica la riduzione degli importi previsti: si è scesi dagli attuali 35 euro a 18 euro pro capite al giorno per appartamenti singoli, 23 euro per i Cas fino a 50 ospiti; 21,90 euro per le strutture tra i 51 e i 300 migranti ospitati. A queste somme va aggiunto il pocket money di 2,5 euro al giorno corrisposto agli ospiti.
«Non ci saranno più i servizi finora garantiti. Non sono previste - spiegano da Intergea - le lezioni di italiano e nel bando non compare nemmeno il mediatore culturale, ma si suppone resti. Il compito dei centri di prima accoglienza sarà solo garantire cibo e pernotto». Per l'assistenza sanitaria è richiesto solo un medico deputato ai controlli ma, visto il budget, molti operatori si affideranno a quelli della Asl. Non sono neanche contemplati corsi o laboratori di alcun tipo. Persino la copertura da parte del personale è dimezzata: ci sarà un operatore per 8 ore al giorno e 4 di notte. Per il resto, i migranti saranno soli nelle strutture.
Chi trova un lavoro, verrà allontanato: la Prefettura ha già chiesto di ricevere l'elenco di chi ha un reddito. All'Arci si incontreranno oggi per decidere. «Stiamo leggendo l'avviso che - spiega Alessandra Capo - dipende dalle linee guida volute dal ministro Salvini. Per come è strutturato il bando, il nostro lavoro si ridurrebbe a mera gestione di albergo. Non è prevista la scuola di lingua né gli altri servizi che sinora andavano garantiti per favorire l'integrazione». Inoltre, la parte economica secondo l'Arci «è ridotta ai minimi termini e così la gestione in accoglienza diffusa è complessa, se non insostenibile».
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Il Messaggero