Appaltopoli a Viterbo, una rete di affari sporchi

Appaltopoli a Viterbo, una rete di affari sporchi
Collusione. Accordi clandestini. Distribuzione di commesse. Promiscua commistione di interessi. Procedure turbate. Corruttela. Le parole utilizzate dai giudici del collegio di...

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Collusione. Accordi clandestini. Distribuzione di commesse. Promiscua commistione di interessi. Procedure turbate. Corruttela. Le parole utilizzate dai giudici del collegio di Viterbo per motivare la sentenza del processo Appaltopoli sono da far tremare i polsi. In 206 pagine descrivono il sistema, in vigore dal 2009 al 2011, di spartizione degli appalti pubblici nella Tuscia. Sistema per cui hanno condannato - dimezzando le pene richieste dai pm - i funzionari del Genio civile Roberto Lanzi e Gabriella Annesi, il sindaco di Graffignano Andriano Santori e gli imprenditori Luca Amedeo Girotti e Angelo Anselmi.


La sentenza è arrivata dopo sei anni dalla maxinchiesta di Procura e Forestale. La magistratura nel 2012 portò alla luce un vasto giro di mazzette che partiva dagli uffici del Genio civile e toccava buona parte degli appalti delle pubbliche amministrazioni locali. «Risulta indubitabile si legge nelle motivazioni della sentenza - come sia emerso un preoccupante sistema di gestione degli appalti pubblici nella provincia di Viterbo (2009-2011), sistema connotato da vicinanza e familiarità tra un gruppo di imprenditori interessati alle gare e funzionari pubblici preposti alle procedure». E connotato anche «dalla volontà di una ristretta cerchia di imprenditori di operare, con collusioni e accordi clandestini, al fine di distribuirsi le commesse».

Di fronte a un quadro generale così agghiacciante le pene comminante agli imputati sembrano poca cosa. Il 30 aprile scorso il processo si è concluso con pene dai 6 mesi ai 3 anni e 9 mesi. La più alta a Lanzi, considerato la mente del sistema. Colui che aveva un ruolo centrale e cruciale, che «operava - scrivono ancora - in maniera illecita anche col concorso della collega, che era a conoscenza delle modalità di gestione delle gare adottate e dalle utilità percepite». «Nonostante questo si legge ancora - il collegio ha però ritenuto non fosse possibile trarre, quale automatica e inevitabile conseguenza, l'affermazione della penale responsabilità degli imputati».


I capi d'imputazione contestati agli 8 imputati erano 30. Trenta casi specifici in cui la Procura, tramite intercettazioni, ravvisava fatti delittuosi. Per i quali, però, nella maggior parte dei casi, il collegio non ha trovato appigli per pronunciare una sentenza di condanna. Sabato scadranno i termini per presentare appello alla sentenza di primo grado. C'è da credere che i difensori degli imputati saranno puntali nel depositare il ricorso. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero