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Questa «è una epurazione senza motivi ufficiali: vogliamo solo capire di cosa siamo accusate», «non vi sono affatto atteggiamenti disallineati ma piuttosto vi è legittimo esercizio dei diritti che lo stesso diritto canonico riconosce». Lo scrivono in un comunicato le 13 suore benedettine del monastero di clausura di Pienza dopo la diffida formale della diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza nei loro confronti, accusandole di «comportamenti disallineati con la loro scelta di vita». Le suore, che avevano espresso critiche su alcuni provvedimenti decisi per loro dalla Santa Sede, fra cui il trasferimento della madre superiora Diletta Forti, oggi scrivono che «la professione religiosa perpetua non priva chi la emette né della voce né della ragione» e che «l'obbedienza è un ossequio dell'intelletto e della volontà ai comandi legittimi e secondo giustizia, non cieca e supina subordinazione a comandi arbitrari».
La replica
«In pratica - affermano - siamo state oggetto di provvedimenti che si traducono in una punizione senza che ci sia spiegato qual è il comportamento per cui saremmo state sanzionate. Non è indicata quale legge avremmo violato e nemmeno è indicato un comportamento contrario alla legge canonica: nei decreti non c'è nulla. Se si considera che le punizioni sono severe perché comportano l'allontanamento dal monastero e finanche dalla vita monastica, appare mortificante accettare una punizione senza nemmeno sapere perché si viene puniti». «Ancora più doloroso - proseguono - è apprendere dai giornali presunte motivazioni dalle quali non ci siamo mai potute difendere e da cui tutt'ora non possiamo difenderci perché non sono nemmeno accennate negli atti ufficiali. La nostra intenzione è di difenderci nelle competenti sedi canoniche innanzitutto per capire di cosa siamo accusate. Auspichiamo che la Diocesi contenga le sue dichiarazioni che si appalesano inopportune dal momento che, dell'intera vicenda, è investito il competente dicastero Vaticano».
Il documento della Diocesi
Le suore di clausura di Pienza (Siena) nello stesso documento pubblico affermano pure che «la Diocesi, senza alcuna competenza in materia, si esprime circa i decreti del Dicastero Vaticano per gli Istituti di Vita Consacrata e la loro presunta mancata esecuzione.
I precedenti
«In passato, peraltro, né il monastero né i suoi vertici, hanno mai ricevuto alcun rimprovero dai superiori per fatti o circostanze ritenuti 'improprì dalle autorità», «mentre oggi si assiste sui mezzi di informazione a un continuo diffondersi di notizie assolutamente false e artefatte, che evidentemente qualcuno veicola al fine di screditare l'immagine del monastero». È «grave che la diocesi si faccia ardita garante dell'esecuzione dei decreti ignorandone, o peggio forse falsandone, il contenuto, col risultato di diffamare questa istituzione monastica e i suoi membri, e creando un gratuito quanto inopportuno clima di scandalo». «Ô infatti a seguito del primo comunicato della diocesi (mai inviato direttamente alle interessate) che il monastero si è visto costretto, per il solo scopo di tutelarsi nella sua onorabilità, a diffondere una risposta con le stesse modalità, così come avviene ora: spiace dunque constatare che la diocesi si valga dei mezzi di comunicazione per imporre una versione dei fatti fortemente mistificata».
Il Messaggero