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Asti – Le parole di Papa Francesco nella cattedrale gotica di Asti, terra di buon vino e di forte emigrazione durante gli inizi del secolo scorso, scuotono profondamente le seimila persone arrivate da ogni parte della regione Piemonte: «E' da queste terre che mio padre è partito per emigrare in Argentina; e in queste terre, rese preziose da buoni prodotti del suolo e soprattutto dalla genuina laboriosità della gente, sono venuto a ritrovare il sapore delle radici. Ma oggi è ancora una volta il Vangelo a riportarci alle radici della fede». Il secondo giorno di un intenso viaggio intrapreso per rendere omaggio alle radici familiari, una sorta di rimpatriata con tutti i cugini del ramo Bergoglio, Papa Francesco ha riassunto in una toccante omelia il cammino del suo pontificato teso a spronare i cattolici a non essere insensibili alle richieste di aiuto del prossimo. E' la sua ricetta per invertire il trend delle chiese vuote che affligge la pratica religiosa in Italia.
«I cattolici hanno davanti due strade. Di fronte a Gesù c’è chi fa da spettatore e chi si coinvolge. Gli spettatori sono molti, la maggioranza. Infatti – dice il testo – il popolo stava a vedere. Non era gente cattiva, tanti erano credenti, ma alla vista del Crocifisso restano spettatori: non fanno un passo in avanti verso Gesù, ma lo guardano da lontano, curiosi e indifferenti, senza interessarsi davvero, senza chiedersi che cosa poter fare. Avranno commentato, avranno espresso giudizi e pareri, qualcuno si sarà lamentato, ma tutti sono rimasti a guardare con le mani in mano, a braccia conserte» afferma il Papa.
Tra i parenti che sono in prima fila nella basilica ad ascoltarlo c'è anche Carla Rabezzana, la cugina che ieri ha festeggiato i 90 anni con 'Giorgio', come chiama il pontefice.
La predica che il Papa ha preparato per la visita ad Asti è simbolica. Francesco insiste tantissimo sul concetto del coinvolgimento personale allo spirito di Gesù. L'allontanamento dei fedeli dal Vangelo determina reazione negative a catena. «L’onda del male si propaga sempre così: comincia dal prendere le distanze, dal guardare senza far nulla, dal non curarsi, poi si pensa solo a ciò che interessa e ci si abitua a girarsi dall’altra parte. È un rischio anche per la nostra fede, che appassisce se resta una teoria e non diventa pratica, se non c’è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco. Allora si diventa cristiani all’acqua di rose, che dicono di credere in Dio e di volere la pace, ma non pregano e non si prendono cura del prossimo. Vediamo le crisi di oggi, il calo della fede, la mancanza di partecipazione... Che cosa facciamo? Ci limitiamo a fare teorie, a criticare, o ci rimbocchiamo le maniche, prendiamo in mano la vita, passiamo dai “se” delle scuse ai “sì” della preghiera e del servizio? Tutti pensiamo di sapere che cosa non va nella società, nel mondo, anche nella Chiesa, ma poi facciamo qualcosa? Ci sporchiamo le mani come il nostro Dio inchiodato al legno o stiamo con le mani in tasca a guardare?»
Prima di arrivare in cattedrale nel palazzo del vescovado dove ha soggiornato stanotte in una stanza allestita dal vescovo, Francesco ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Asti. Oltre all'amministrazione comunale, con tutta la giunta, guidata dal sindaco Maurizio Rasero, c'erano il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e il vicepresidente Fabio Carosso. La motivazione del conferimento è stata per il forte impegno per la pace nel mondo ed i quotidiani messaggi di solidarieta' e fraternita' contro ogni forma di discriminazione.
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Il Messaggero