Coronavirus, morire soli, prete di Bergamo mette telefono sulla salma e prega con i parenti a casa

Città del Vaticano - La morte ai tempi del coronavirus è qualcosa di immensamente crudele. Perchè ormai in alcuni ospedali si muore senza che nessuno dei...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Città del Vaticano - La morte ai tempi del coronavirus è qualcosa di immensamente crudele. Perchè ormai in alcuni ospedali si muore senza che nessuno dei parenti possa entrare in reparto per tenere la mano, accarezzare il volto della mamma, del babbo o di un fratello sfiniti dalla malattia e prossimi ad andarsene per sempre. «I familiari dei defunti mi chiamano, io metto il cellulare sulle salme dei loro cari e preghiamo insieme». Un prete bergamasco, padre Aquilino Apassiti, 84 anni, missionario rientrato dal Brasile e chiamato ora a dare conforto ai parenti delle vittime nell'ospedale Giovanni XXIII di Bergamo,  intervistato da a InBlu Radio, racconta scene strazianti.


Il suo aiuto spirituale alla gente avviene con tutte le precauzioni del caso, tenendo conto delle rigide misure di sicurezza e del rischio del contagio. «L'altro giorno - racconta il frate - una signora, non potendo più salutare il marito defunto, mi ha chiesto di fare questo gesto. Ho benedetto la salma del marito, fatto una preghiera e poi ci siamo messi entrambi a piangere per telefono. Si vive il dolore nel dolore, è un momento di grande prova».

In queste ultime settimane, riferisce ancora fra Aquilino, «non posso più vedere di persona i malati e soprattutto coloro che sono in dialisi; ma rimango sulla porta della stanza: lo faccio perché se i pazienti non mi vedono, pensano che io sia stato contagiato. La maggior parte del tempo la passo nella cappella dell'ospedale a pregare. Spesso, la sera viene una dottoressa del reparto di cardiologia e preghiamo» Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero